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La sua elezione fu un shock per tutti

di Gianfranco SvidercoschiQuel 16 ottobre del 1978, il mondo venne come attraversato da uno shock collettivo. Un po’ per tutti, e non solo all’interno della Chiesa cattolica, fu una sorpresa incredibile l’elezione di un Papa non italiano dopo quasi mezzo millennio. Ma fu una sorpresa ancora più grande, il fatto che il successore di Papa Luciani venisse dalla Polonia, un Paese tradizionalmente cattolico ma che era ancora “prigioniero” dell’impero sovietico.

Fu così che la provenienza polacca (ma non il senso profondo di quella provenienza) finì per condizionare in larga misura i giudizi sul nuovo Papa, le aspettative sul suo pontificato. Creando conseguentemente una sorta di cortina fumogena – fatta di timori, di perplessità, di critiche già a priori – attorno a Karol Wojtyla, alla sua figura, ai suoi primi gesti e discorsi.

E infatti, venne etichettato subito come un conservatore, un tradizionalista, appunto perché rappresentante di una Chiesa che si riteneva ancora preconciliare, intrisa di bigottismo; e, nello stesso tempo, ancora attestata su posizioni di netta intransigenza nei confronti del regime comunista. Un regime, per la verità, che aveva ormai superato la fase stalinista, e sembrava non premere al massimo sull’acceleratore dell’ateismo; ma aveva pur sempre l’obiettivo di rinchiudere la religione nelle sacrestie attraverso una progressiva laicizzazione della società.

E, più o meno allo stesso modo, Giovanni Paolo II venne immediatamente classificato da un certo mondo politico – e non solo quello marxista, quello più legato al Cremlino, ma anche in Occidente – come un anticomunista viscerale. Dunque, come un uomo pericoloso per la stabilità di quella situazione geopolitica che era stata ereditata da Yalta, dalle imposizioni di Stalin; ma che per altro si riteneva fosse l’unica possibile per salvaguardare la pace mondiale, per non far scoppiare uno scontro nucleare tra le due superpotenze che allora dominavano il pianeta, Usa e Urss.Erano – ma lo si riconosce soltanto oggi con il senno di poi – due atteggiamenti viziati in partenza da una scarsissima conoscenza dei fatti reali, e, soprattutto, dell’uomo Wojtyla, della sua avventura umana e sacerdotale. Non si sapeva o si sapeva molto poco del profondo rinnovamento conciliare attuato dalla Chiesa polacca, specialmente a Cracovia, e della sua costante difesa dei diritti umani, al di là delle stesse appartenenze ideologiche. Così come non si sapeva o si sapeva molto poco del pensiero teologico-filosofico di Wojtyla, della concezione che lui aveva maturato dell’uomo in quanto persona e della storia in quanto luogo in cui si realizza il disegno divino. Quindi, non un atteggiamento “contro” qualcuno o qualcosa, non semplicemente contro il materialismo dialettico o il liberismo economico; bensì quella “verità” sull’uomo che presuppone il primato della persona sulle cose, la priorità dell’etica sulla tecnica e sui sistemi socio-economici, la superiorità dello spirito sulla materia. Insomma, quella provenienza polacca, almeno nei primi anni di pontificato, non venne capìta, o venne fraintesa, o, peggio, combattuta, osteggiata. E invece, bisognava, bisogna partire proprio da lì per comprendere il significato complessivo di questo pontificato, e, perciò, del ruolo che ha svolto Giovanni Paolo II in questi venticinque anni alla guida della comunità cattolica.

Sarebbe a dire che, proprio nella misura in cui ha portato sulla cattedra di Pietro le tradizioni più autentiche della Chiesa polacca, la sua fedeltà a Roma, la sua resistenza alla repressione, al martirio, il suo essere sempre accanto al popolo, Papa Wojtyla ha impresso una nuova immagine al cattolicesimo universale. Proprio nella misura in cui è stato educato alla fede da due laici, il padre e l ‘amico catechista, Jan Tyranowski, e ha vissuto gran parte della sua missione sacerdotale – come prete e poi come vescovo – accanto ai giovani, tra i giovani, Karol Wojtyla è stato il primo Papa – oseremmo dire dai tempi della Controriforma – che ha cominciato a smantellare il muro del clericalismo. Dando sempre più spazio agli aspetti carismatici, laicali e comunitari, rispetto a quelli istituzionali, clericali e gerarchici.

E ancora, proprio perché ha dovuto sperimentare direttamente, personalmente, la tragedia della seconda guerra mondiale e la barbarie prima del nazismo e poi del comunismo, Karol Wojtyla è il Papa che nell’età moderna ha più difeso la causa dell’uomo, la sua dignità, la sua libertà, contro totalitarismi e dittature, di destra e di sinistra. E, per questo, è andato in tutto il mondo a sostenere le ragioni della pace, della solidarietà. Richiamando tutte le religioni, e specialmente quelle monoteistiche, alla loro funzione primordiale, costitutiva, di essere agenti di pacificazione, di concordia tra gli uomini e tra i popoli. Rigettando ogni tentazione di legittimare violenze o, peggio, guerre nel nome di Dio. Insomma, alla scadenza del 25° anniversario, si potrebbe dire che Giovanni Paolo II riassuma in sé, nella sua persona, nella sua vita, nel suo ministero universale, il destino collettivo dell’umanità nel passaggio tra il XX e il XXI secolo. Ha accompagnato e sostenuto questa umanità nei tanti drammi che ha dovuto sopportare, ma anche nella speranza, cristiana e umana, che il cammino della storia, nonostante tutto, non possa non tendere verso l’unità, verso la pace.