Opinioni & Commenti
La storia della Tav Torino-Lione: la strada è ancora lunga
Questa volta pare davvero che la realizzazione della Nuova Linea Torino Lione (quella che viene impropriamente chiamata Tav) sia arrivata alla svolta giusta. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha spiegato le ragioni del «sì» che il governo, entro il 26 luglio, dovrà mettere per scritto in una lettera all’Unione europea: costa di più non farla che farla e solo il Parlamento può decidere di fermare tutto. Affermazione a denti stretti, forse, ma chiara. Tutto bene, dunque, per chi è a favore dell’opera, tutto male, invece, per chi è contro. Tanto che i No Tav sono già sul piede di guerra. C’è una certezza: l’ultima parola sarà detta quando il primo treno passerà per davvero dentro il nuovo tunnel. Ci vorranno ancora molti anni.
La vicenda della Torino-Lione è lunga (di una nuova galleria, al posto del vecchio tunnel del Frejus del 1871, si parla già nel 1910 anche se i primi progetti concreti arrivano nel 1990), complessa e controversa. Sulla Tav da decenni migliaia di persone si appassionano e litigano praticamente su tutto. E pensare che l’obiettivo della linea è quello di creare un collegamento migliore fra Italia e Francia, lungo uno dei corridoi europei di grande traffico, che sia funzionale, sicuro e più compatibile con l’ambiente rispetto alla circolazione su gomma.
La storia della Tav può essere divisa in tre grandi periodi. Attorno alla metà degli anni ’90 nasce la Conferenza intergovernativa Italia-Francia (Cig) e cioè la sede di confronto fra i due Paesi per la realizzazione della linea e nasce anche Ltf (Lyon-Turin Ferroviaire) per la progettazione preliminare. Si parla di prevalente trasporto merci. La ferrovia sarà composta da tre parti: una in Francia, l’altra transnazionale (il tunnel sotto le Alpi), un’altra in Italia. Poi nel 2005 il disastro. L’Europa spinge l’Italia ad avviare i lavori di una galleria geognostica a Venaus sopra Susa. L’8 dicembre 2005 il cantiere appena creato viene occupato e i No Tav diventano noti in tutta Italia. E’ da quel giorno che prende avvio la seconda lunghissima fase. Si cerca il dialogo, viene creato un «Osservatorio» dove far incontrare le parti in causa. Si va avanti anni. Intanto, in Valle di Susa, ad ogni passaggio cruciale del negoziato scoppiano scontri, a tratti anche molto violenti. La Tav è il coagulo dello scontento. Ma attraverso l’Osservatorio il progetto viene rifatto. E dalla teoria si passa ai cantieri: nel 2012 viene aperto a Chiomonte quello per una galleria geognostica. Nel 2015 Ltf diventa Telt: deve realizzare il tunnel sotto la montagna lungo 57,5 chilometri. Intanto, Italia e Francia raggiungono un nuovo accordo per il cofinanziamento dell’opera, con il contributo del 40% da parte dell’Ue. L’intesa viene ratificata dai parlamenti. Pare tutto fatto. Invece no. Nel marzo 2018 le elezioni politiche portano a Palazzo Chigi una delle anime politiche del Movimento No Tav: i Cinque Stelle. Tutto rischia di essere rimesso in discussione.
Alla fine di ottobre 2018, tuttavia, quasi inaspettatamente prende avvio una fase nuova della vicenda. Il mondo torinese della produzione e del lavoro decide di «andare a vedere in faccia» chi, in Consiglio Comunale (a maggioranza M5S) voterà un ordine del giorno contro la Tav. Accade qualcosa di mai visto: oltre al mondo del «no», prende forma velocemente un mondo del «sì». Si susseguono le manifestazioni per fare l’opera: ad inizio novembre (con oltre 30mila persone) e il 3 dicembre (con le 12 maggiori associazioni d’impresa italiane). Il 5 dicembre i rappresentanti delle associazioni locali delle imprese e dei lavoratori vengono ricevute a Palazzo Chigi. Una nuova analisi sulla convenienza dell’opera mette però in dubbio tutto. A inizio gennaio altra manifestazione di piazza. Poi, Telt a fine marzo lancia una serie di bandi (che valgono miliardi di euro) per la realizzazione di lavori collegati alla galleria in Francia. Il 6 aprile, un’altra manifestazione a Torino – sempre organizzata dalle imprese e dai lavoratori -, ribadisce alla politica e al governo la volontà di fare la Tav. In giugno, infine, Telt dà il via ad un’altra serie di bandi per lavori sul lato italiano.
Ad oggi la Tav vale 8,6 miliardi, di cui l’Europa è disposta a pagare il 55% mentre l’Italia ne deve pagare 2,5 e il resto spetta alla Francia. Ma l’Europa vuole sapere cosa davvero intenda fare il nostro Paese. Da qui «l’ultimatum» di Bruxelles che scade il 26 luglio. Da qui, le dichiarazioni del presidente Conte.