Lettere in redazione

La solida fede delle persone semplici

Caro Direttore,da un po’ di tempo, ormai, Toscanaoggi ci delizia con le esternazioni del carissimo prof. Pietro De Marco che questa volta (06-01-2008 Teologia e fede dei semplici) se la prende con il «deliberato, pluridecennale e interno vacuum teologico-catechetico» presente nella nostra chiesa ed esalta, nel contempo, il «fervido popolo» di Radio Maria.

Che tristezza! Mi rendo ben conto, ahimé, come la linea editoriale di Toscanaoggi consideri paganti tali affermazioni. Non entro qui nel merito del «fervido popolo» di Radio Maria (per evitare di ricevere lettere di insulti e contumelie da parte di quello stesso «fervido popolo»), tanto più che nella stessa pagina di Toscanaoggi ci viene ricordato che il Magistero non ha mai autenticato le visioni di Medjugorje, che costituiscono il cavallo di battaglia della suddetta radio.

Con un gruppo di persone anziane della mia parrocchia abbiamo da anni, sotto la guida delle Suore Serve di Maria, la lectio divina del giovedì sui testi biblici della domenica e, periodicamente, celebriamo in parrocchia Rosari, Novene e Vie Crucis fondati sull’ascolto costante delle Scritture. Ti assicuro, carissimo Alberto, che esiste un «fervido popolo» cristiano fatto di persone semplici che ha ricevuto in dono una fede solida e matura, anche critica a suo modo, priva però di superstizioni e devozionalismi; pur nella semplicità e nella schiettezza di persone anziane senza troppa cultura, questo popolo possiede sì quella che De Marco chiama «teologia implicita», ma non certo la «teologia» (!) di padre Livio. Un popolo che è ben in grado di comprendere da solo, per fare un esempio attuale, quanto siano patetiche e ingannevoli le nostalgie della Messa tridentina.

Ma il vero problema è piuttosto un altro: ciò che il prof. De Marco scrive a proposito del preteso vuoto teologico-catechetico è semplicemente falso; o meglio, è vero, ma al contrario! È proprio l’aver alimentato per secoli un devozionalismo superficiale e acritico, l’aver sottratto la Scrittura ai credenti, l’aver sfruttato i «semplici» come oggetto in mano a un Magistero che si pretende onnipotente, l’aver osteggiato una promozione reale del laicato, anche a livello teologico, l’aver continuamente ridotto al silenzio quelli che, senza alcun rispetto, il prof. De Marco ha più volte etichettato come i «cattolici del dissenso», che ha creato questa situazione: in altre parole, ci troviamo oggi di fronte a un deliberato tradimento del Vaticano II, altro che le «derive dogmatiche in atto da decenni» di cui parla il Professore.

La nostra Diocesi di Firenze, da sedici (16!) anni ha messo in mano la Parola di Dio ai laici, con risultati ben al di là di ogni attesa, e così fanno ormai sulla nostra scia moltissime Diocesi italiane, come ho più volte osservato girando l’Italia a questo scopo (sono tra le altre cose membro eletto della Presidenza dell’Associazione Biblica Italiana). Esiste in Italia un laicato maturo e formato alla scuola della Parola di Dio e del Concilio, che non attinge affatto al «minimalismo teologico degli intellettuali-teologi che si vendono in libreria»: quali, poi? Visto che anch’io sono uno di quelli che si vendono in libreria…! A meno che per il prof. De Marco l’unico teologo autorizzato a parlare nella Chiesa non sia altri che Benedetto XVI, il quale però, proprio perché Papa, non ha più il ruolo di teologo. Un laicato consapevole della pluralità di teologie nella Chiesa, capace di discernere il ruolo e i limiti del Magistero, consapevole della propria libertà e della propria dignità di battezzati.

Resta l’impressione che il prof. De Marco (mi perdoni la polemica) abbia del laicato un concetto non troppo diverso da quello che ne aveva papa Pio X, quando nella Vehementer nos (1906) scriveva che «quanto alla moltitudine, essa non ha altro diritto che quello di lasciarsi guidare e, come docile gregge, seguire i suoi pastori» (§8). Credere, obbedire e combattere: non c’è da meravigliarsi che quel laicato abbia poi disciplinatamente votato per Benito Mussolini, così come oggi, con disciplina anche più ammirevole, sostiene politici pieni di quattrini, ma abissalmente lontani dal Vangelo (vedi il Baget Bozzo citato dal De Marco come autorità, il che, se non fosse tragico, potrebbe essere persino comico!).

Per grazia di Dio esistono laici, nel popolo di Dio, con una solida formazione biblica, teologica e catechistica, e tra questi ci sono anche a loro modo o, meglio, con il loro carisma, quelle «vecchine» tanto care a Giorgio La Pira quanto a un modesto parroco come me. Un popolo di Dio che non è affatto inquinato da una «Teologia senza Trascendenza e senza Anima», come accusa il De Marco, ma che al contrario, proprio perché consapevole che quella Trascendenza si è «svuotata» in Cristo (cf. Fil 2) nella nostra debolezza umana, intuisce di possedere quel sensus fidei di cui ci parla la Lumen Gentium (cf. LG 12). È questo «senso della fede» proprio del popolo di Dio, e che il Magistero è chiamato ad ascoltare, ciò che fa progredire la Chiesa e la stessa teologia (cf. Dei Verbum 8), una teologia che dunque non è tanto «dogma e predicazione», quanto piuttosto «Vangelo e vita»: è questa la Chiesa in cui credo e nella quale, pur con tanti miei errori e inciampi, mi sono messo in cammino, senza mai pretendere di essere arrivato in porto.

don Luca Mazzinghipriore di Bivigliano, professore di Esegesi Biblica al Pontificio Istituto Biblico di Romae presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale Pubblico volentieri la tua lettera, caro don Luca, non certo per amplificare polemiche, ma per dar spazio a un confronto su un tema importante e di attualità che sia tu che il prof. Pietro De Marco affrontate, anche se da premesse e con conclusioni diverse. Come cioè rafforzare e motivare sempre più la fede del popolo di Dio, che è minacciata oggi più di prima, cercando anche di individuarne le cause.Secondo De Marco (intervento su Toscanaoggi n. 1, pubblicato in forma più ampia sul nostro sito www.toscanaoggi.it nella sezione «Le idee» Teologia e fede dei semplici) ciò che mette in crisi tante persone è «il pluridecennale e interno vacuum teologico-catechistico»; bisogna quindi tornare alla dottrina certa, come ben ci indica il Papa col suo Magistero. Tu contesti fortemente questa tesi e anche – ma non solo – sulla base dell’esperienza della tua parrocchia, che non è certo esperienza isolata, affermi che la fede si alimenta col rimettere finalmente in mano ai laici la parola di Dio. Le difficoltà nascono invece «dall’aver alimentato per secoli un devozionalismo superficiale e acritico». Sono due analisi che si confrontano e mettono a fuoco un problema che non può lasciare indifferenti. Proprio per questo, al di là del pepe presente in ambedue gli interventi, è auspicabile che si apra un dibattito che saremo ben lieti di accogliere.

La tua lettera però, don Luca, esige qualche precisazione. Tu dici, con riferimento all’intervento di De Marco, che «la linea editoriale di Toscanaoggi considera paganti tali affermazioni» e – è implicito – le fa sue.

Come abbiamo detto più volte noi teniamo molto alla pagina «I lettori ci scrivono», anche perché sappiamo che è tra le più seguite. Essa è e vuol essere un «luogo» in cui si confrontano varie opinioni (religiose, politiche, di costume) che noi accogliamo volentieri perché – e questo vale anche per la «disputa» De Marco-Mazzinghi – sono presenti nel nostro mondo. L’essere accolte non significa necessariamente condivisione perché in questo caso troverebbero spazio in altre parti del giornale.

Quello che ci appartiene è la risposta-commento, che esprime – quella sì – il pensiero del giornale.