Opinioni & Commenti
La sofferenza può unire a patto di non dimenticare quella altrui
Morti ce ne sono stati tanti, anche italiani, in altre occasioni, senza che nulla di simile si verificasse. Questi sono diventati un simbolo, intorno a cui ci siamo sentiti tutti affratellati. Le centinaia di migliaia di persone in coda davanti al Vittoriano, le spontanee manifestazioni di sincero dolore provenienti da tutte le parti d’Italia, senza distinzioni di ceti sociali o di militanze politiche, la tregua subentrata perfino tra i partiti, dopo mesi di estenuante conflittualità, sono una dimostrazione dell’ampiezza e della profondità di questo sentimento comune di italianità.
Non a caso lo si chiama «giornalismo-spettacolo». Ma c’è da chiedersi se il diritto all’informazione comporti anche questo scadimento, che nega anche alla morte il silenzio e il riserbo a cui avrebbe diritto. Ancora una volta abbiamo visto all’opera uno stile ormai abituale in certe seguitissime trasmissioni televisive che offende il pudore ben più dell’esibizione di qualche parte del corpo, perché, per scuotere, mette a nudo le anime.
In questo clima, il rischio che si corre è di mettere fuori gioco la ragione e di confondere la ritrovata unità nazionale con l’allineamento acritico su posizioni manichee: noi il bene, gli «altri» il male. Il rispetto per i nostri morti comporta il superamento delle risse indecorose a cui ci eravamo abituati, non la rinunzia alla riflessione e a un onesto confronto su ciò che sta accadendo. Guai se la riscoperta della nostra identità, nata nel clima del dolore, dovesse venire strumentalizzata per avallare una conflittualità con il popolo iracheno e, più ampiamente, con il mondo islamico, semplicisticamente ridotti a «nemici» o a «barbari» da civilizzare loro malgrado. Anche molte madri di Nassiriya hanno perduto, nei mesi scorsi, i loro figli, e molti bambini i loro padri, tutti spazzati via dalla furia di questa guerra. La sofferenza può dividere, ma anche unire. E il modo migliore per essere finalmente noi stessi è, mentre viviamo la nostra, di non dimenticare quella degli altri.