Cultura & Società
La smania della fine del mondo
Carlo Lapucci
Ci sono idee fisse che non si smontano con nessuna acquisizione scientifica, prova contraria, smentita, ma continuano nei secoli sfidando ogni mutamento di mentalità, di ascesa del livello culturale e in forme diverse sopravvivono. Sono ad esempio le convinzioni che una volta gli uomini erano migliori, c’era più onestà, serietà. I governanti erano probi, il vino genuino, gli alimenti sani, le stoffe forti ed eterne; c’era più rispetto, educazione e, nonostante il generale analfabetismo, anche più cultura.
Un’altra costante è la presenza dei fissati sulla fine del mondo, i finimondisti, veri e propri profeti di sventura: coloro che godono nel prevedere in un futuro più prossimo possibile una catastrofe, meglio ancora la fine del mondo, e godono a descriverla nelle varie sofferenze, calamità, disastri, perdite e i lutti connessi all’evento.
Che il nostro mondo debba avere una fine è cosa intuitiva; come e quando è più difficile dire. Le varie dottrine religiose hanno ognuna una versione dell’esito finale. Queste visioni grandiose, ispirate, inserite in un credo religioso e in una visione della vita, del mondo, collegate all’umano e al divino, assumono valore attraverso la fede, dando a ciascun credente la visone completa del senso del Creato di cui fa parte e, sia pure in una dimensione mitologica, incardinano l’individuo nel tutto, il granello di polvere nel Cosmo. In questi casi sono cose serie soprattutto per chi ritiene la scrittura sia parola divina, ma se la profezia viene dalla bocca dei poveri uomini, si definisce in date precise, motivi e modalità diviene materia di cui si occupavano un tempo i fabbricanti di lunari.
In realtà scorrendo le cronache di quel periodo non si trova traccia di tutti questi terrori, ma sì e no di apprensioni, dubbi attizzati da qualche predicatore e qua e là manifestazioni isteriche di folle più credule. Così il Libellus de Anticristo, scritto da Adson nel 954 ritiene ancora molto lontana la fine del mondo, anche se le guerre, le miserie, la fame e la peste che tormentavano quegli anni la facevano presagire vicina. Si pensava inoltre che i 10.000 anni di esistenza accordati al nostro pianeta stavano per spirare. I peccatori riscattavano i propri errori facendo donazioni a chiese e conventi; si conservano ancora atti legali di donazioni, beneficenze, testamenti, che portano la formula: appropinquante mundi termino: «Approssimandosi la fine del mondo ». La catastrofe finale doveva essere annunciata da segni spaventosi che un antico opuscolo indica in numero di 15.
Tuttavia anche allora si discuteva se si doveva intendere la data della fine del mondo come 1000 anni dopo l’Incarnazione, la Nascita o la Morte di Cristo, cosa che dava un po’ di respiro. Nel complesso, salvo fenomeni circoscritti, la paura dell’anno mille non fu quella che si crede oggi: il motivo piacque e venne amplificato fino all’esagerazione nei periodi successivi. All’avvicinarsi di qualche cifra tonda del calendario torna a fare capolino il finimondo che le varie sette hanno proclamato anche in anni a noi vicini. Ormai solo pochi si allarmano, tanto che nell’approssimarsi del 2000 nessuno ha preso iniziative, e forse ci sarebbe stato più da preoccuparsi che in passate occasioni.