Dossier
La settimana sociale a Pistoia e Pisa
Mille delegati, 65 vescovi, 160 diocesi rappresentate, 32 relatori e sei sessioni di lavoro, un comitato scientifico organizzatore di 12 esperti. Questi i numeri della 45/a settimana sociale dei cattolici italiani (a Pistoia e Pisa dal 18 al 21 ottobre), a cento anni esatti dalla nascita di questo appuntamento dei cattolici italiani, il primo dei quali si svolse a Pistoia nel 1907. “Il bene comune oggi, un impegno che viene da lontano” è il titolo scelto. Ecco una sintesi dei lavori, sessione per sessione (Fonte: Sir).
I Sessione: CENTO ANNI DI SETTIMANE SOCIALI (Pistoia 18 ottobre)
II Sessione: BENE COMUNE NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE (Pisa 19 ottobre)
III Sessione: STATO, MERCATO E TERZO SETTORE (Pisa 19 ottobre)
IV Sessione: LE PROSPETTIVE DELLA BIOPOLITICA (Pisa 20 ottobre)
V Sessione: EDUCARE E FORMARE (Pisa 20 ottobre)
VI Sessione: UN FUTURO PER IL BENE COMUNE? (Pisa 21 ottobre)
Continuare a tessere una trama di amore e responsabilità civile – ha proseguito mons. Bagnasco – vuol dire, per i cattolici, proseguire il circolo virtuoso che dal Concilio ad oggi parte dalla persona ed arriva all’ordine sociale. Il bene comune può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale. In questa visione realistica che falsifica gli schemi ideologici, la società non può non essere connessa alla persona: in particolare, è essenziale al bene comune del nostro Paese un nuovo patto tra le generazioni. Per la Cei, inoltre, è urgente una forte proposta educativa, fatta di proposte alte, di impegno concreto e continuo, cordialmente aperta al bene di tutti e di ciascuno a prezzo di interessi individuali o particolari, a prezzo del proprio personale sacrificio. Di qui l’appello Dobbiamo dirlo a voce alta, dirlo in primo luogo a noi stessi: non solo non si può attuare il bene comune, ma neppure concepirlo né tanto meno ragionarci e discuterne, senza ricuperare le virtù cardinali della fortezza, della giustizia, della prudenza e della temperanza con le attitudini interiori che ne conseguono. Lontani da questo impianto virtuoso la teoresi diventa difficile, insidiosa, facilmente ideologica.
L’intangibilità della persona e della vita umana, dal concepimento fino al naturale tramonto; la cellula fondante e inarrivabile di ogni società che è la famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile di un uomo e di una donna, e aperta a quei figli di cui l’Italia e l’Europa che invecchiano hanno così tanto bisogno; il valore incommensurabile della libertà che lungi dall’essere mero arbitrio è impegnativa adesione al bene e alla verità; il codice morale che si radica nell’essere profondo e universale dell’uomo, e che il credente vede esplicitato e perfezionato in Gesù. Per i cattolici sono questi, ha detto mons. Bagnasco, i valori non negoziabili che si sono dimostrati i capisaldi della storia e della tradizione del nostro popolo, insieme alla garanzia per il futuro. Continueremo a mettere al centro la questione antropologica, ha assicurato il presidente della Cei, grazie all’apporto insostituibile del Progetto culturale così da offrire a tutti un contributo di proposta, di chiarezza, di serenità e da contribuire allo sviluppo di un ethos condiviso, come promesso un anno fa a Verona. Tra i volti della questione sociale, Bagnasco ha ricordato le pressanti urgenze legate ai problemi del lavoro e della casa, specchio di un disagio economico che tocca seriamente una larga fascia di persone e di famiglie.
Per il presidente della Cei bisogna Allargare gli spazi della razionalità, come esorta ripetutamente a fare il Papa, significa servire il bene comune per far sì che non si diffondano , né si rafforzino ideologie che possono oscurare o confondere le coscienze e veicolare una illusoria visione della verità e del bene. E tutto ciò ha puntualizzato – a partire dalla ragione e dal diritto naturale, ossia da quanto è conforme alla natura di ogni essere umano. È questo, prima di tutto, un terreno di incontro e non di scontro fra i cristiani e gli appartenenti ad altre matrici ideali. Per il presidente Cei, è essenziale una corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione, nonché al dialogo e al confronto in ordine al futuro sviluppo di civiltà, così come alla nostra identità di italiani e di europei. Solo allargando questi orizzonti la persona si raggiunge e trova se stessa in una totalità senza riduzioni o peggio amputazioni, ha ammonito Bagnasco. In tale contesto, è il suo appello, la dimensione religiosacostituisce un fattore imprescindibile del bene comune, è principio e fondamento di molti altri beni e diritti. Per questo la società non perseguirebbe il proprio fine senza l’esplicito riconoscimento e la concreta promozione di questa sorgiva e fondativa istanza.
Nel diretto impegno politico, i laici sono chiamati a spendersi in prima persona attraverso l’esercizio delle loro competenze e contestualmente in ascolto del Magistero della Chiesa. Mons. Bagnasco ha dedicato la parte finale del suo intervento alla Settimana sociale al rapporto tra cattolici e politica. Non è questo il tempo di disertare l’impegno, ma semmai di prepararlo e di orientarlo, ha affermato, e subito dopo ha aggiunto: A tal fine la parola dei Pastori non potrà essere assente. Sarà una parola chiara, ferma e rispettosa, protesa anzitutto a ribadire i principi non negoziabili. Chi sta vicino alla gente al contrario di quanti si muovono da posizioni preconcette percepisce che esiste ed è forte l’attesa di una loro parola, dato che il delicato momento vissuto dal Paese rende ancora più forte l’esigenza di punti di riferimento autorevoli. Il presidente della Cei ha concluso rinnovando il suo appello di un mese fa, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei: l’Italia merita un amore più grande! L’incanto della sua natura, la ricchezza della sua storia, la fecondità delle sue radici cristiane, la fioritura delle sue tradizioni, quella diffusa sensibilità che è nell’animo della sua gente insieme ad una intelligenza creativa, meritano un maggior apprezzamento da parte di tutti e un rinnovato senso di appartenenza e di amore al Paese. Meritano una responsabilità più grande!.
Toniolo lottò per condensare le intelligenze cattoliche sugli studi sociali, perché bisognava ripartire dalle idee per orientare la storia nazionale: con queste parole, Riccardi delinea la figura e la temperie morale e culturale dell’economista e Servo di Dio, Giuseppe Toniolo (è in corso la causa di beatificazione), che cento anni fa dette vita, proprio a Pistoia, alla prima Settimana Sociale. Convinto con Marx che il capitalismo moderno portasse allo sfruttamento del proletariato, Toniolo invece riteneva, contro Marx, che le idee e l’etica non fossero sovrastrutture, ma muovessero la storia come vere strutture portanti, prosegue Riccardi, descrivendo così l’ispirazione all’azione del Toniolo: Non si tratta solo della difesa degli interessi cattolici o del papa, ma della convinzione di essere portatori di una visione di bene generale. L’opposizione si fa proposta nella storia sociale. Il tempo dell’esordio è il confronto-scontro con l’altra Italia, laica, anticlericale e socialista, di cui si vede un saggio a Pistoia. Il relatore pone poi la questione: Che chiedono i cattolici allo Stato? La laicità non sia laicismo, i cattolici siano rappresentati nei corpi consultivi, le congregazioni religiose libere, che la Chiesa possieda liberamente i suoi beni, l’insegnamento libero, il matrimonio indissolubile.
I cattolici erano stati all’opposizione di Stato e borghesia liberale, rifiutando di essere cappellani del Regno. Che spazio avranno in un regime dalla presa sempre più totale? Cercano percorsi alternativi: … Gemelli lavora attraverso l’Università Cattolica: in questi termini, lo storico Andrea Riccardi sintetizza l’azione dei cattolici durante il fascismo, quando Mussolini è più realista verso il papato e la Chiesa di buona parte dei dirigenti liberali; ma non rinuncia a imporre un’impronta totale al paese. Il fascismo nota lo storico vuole occupare la società, educare i giovani, mobilitare le masse, creare un uomo nuovo. Lo si vede dopo le leggi razziali e con il culto della guerra. E proprio con la fine del secondo conflitto mondiale si profilano grandi cambiamenti per il Paese: Tramonta la monarchia sabauda; il papa acquista un ruolo di guida spirituale nella vita nazionale che, nonostante polemiche, gli resta per decenni. I cattolici nel sociale sono ora davanti a una questione grave: Come ricostruire un paese distrutto? Il partito cattolico, voluto da De Gasperi e da Montini, nasce questa volta sì!- come partito della Chiesa; – afferma Riccardi – valorizza le energie preparatesi negli anni Trenta: è espressione di un protagonismo di cattolici, inedito nella storia unitaria.
Venendo ai decenni più recenti, coi cattolici per la prima volta impegnati in politica e al potere con la DC, le Settimane costituiscono un po’ gli stati generali del pensiero politico-sociale, pulsano del senso di una grande impresa, nota Riccardi, in quanto il cattolicesimo, dal secondo dopoguerra, ha fatto storia sociale e politica nel nostro paese da protagonista. Riccardi afferma che ora, con il distacco del tempo, c’è il grande lavoro da fare: scriverne la storia che è comprendere l’impatto dei cattolici, al governo con altri, di fronte a varie opposizioni, ma centrali nel sistema. Una centralità che poi, col logorio del potere, viene progressivamente meno, in quanto la presenza unitaria si smarrisce in politica e nel sociale, mentre fa capolino un nuovo soggetto: la CEI che come protagonista collega l’azione sociale all’evangelizzazione: vuole dare spessore unitario ecclesiale ai cattolici, che in tanti modi esistono nella società italiana. Gli anni recenti di Papa Giovanni Paolo II conclude lo storico – sono quelli di un cristianesimo italiano (che) non è un partito politico, ma una forza sociale, anima di un ethos di popolo per un servizio da offrire a tutta l’Europa.
La concezione deliberativa di democrazia è oggi la via che meglio di altre riesce ad affrontare i problemi dello sviluppo e del progresso dei nostri Paesi, ha detto ancora Stefano Zamagni, secondo il quale è proprio in base a tale concezione che si riesce a pensare alla politica come attività non solo basata sul compromesso e l’inevitabile tasso di corruzione che sempre lo accompagna, ma anche sui fini della convivenza stessa e dell’essere in comune. La democrazia deliberativa, ha aggiunto Zamagni citando ad esempio l’esperienza delle giurie civiche, è anche la via più efficace per contrastare l’invadenza del politico, nel senso di Hobbes, e quindi per rilanciare il ruolo del civile, e per far sì che lo spazio pubblico cessi di essere pericolosamente identificato con lo spazio statale. Il modello di democrazia rappresentativa è la tesi di fondo del relatore – non è in grado, nelle attuali condizioni storiche, di generare e difendere quelle istituzioni economiche da cui dipende sia un elevato tasso di innovatività sia l’ampliamento della platea di soggetti che hanno titolo per partecipare al processo produttivo. La democrazia deliberativa, invece, mostra di essere all’altezza della situazione.
CARD. MARTINO: L’ECONOMIA NON È IL TUTTO DELLA SOCIETÀ
L’economia non è il tutto della società perché non è il tutto della persona umana: lo ha detto il card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio giustizia e pace. Martino ha ricordato che Giovanni Paolo II nella Laborem Exercens aveva chiamato economicismo la tentazione di considerare l’economia la totalità, anziché la parzialità. In realtà ha aggiunto l’economia è un aspetto della dimensione umana. Ciò implica un rapporto sussidiario tra le diverse parti e l’azione ad essa collegata va finalizzata ad altro da sé, cioè a quanto Toniolo chiamava il bene comune. Il cardinale ha poi affermato che di fronte a istanze quali le inaudite possibilità tecniche di manipolazione dell’uomo, occorre un impegno culturale ampio, sempre in vista del bene comune.
Oggi il bene comune non coincide più con lo Stato: non è più un bene totale, un monopolio dello Stato, ma un fenomeno che emerge dalle relazioni, ha esordito il sociologo, secondo il quale il bene comune relazione é fatto di attori che si orientano reciprocamente in una relazione da cui dipende il loro bene individuale. In questa prospettiva, per Donati, il bene comune non è solo qualcosa che si produce assieme, ma di cui si fruisce assieme: molto più della democrazia di rappresentanza, ma anche qualcosa di più della democrazia rappresentativa. È per questo, ha spiegato l’esperto, che il bene comune deve essere costantemente generato e rigenerato attraverso dei processi sociali in cui sia data la centralità alla persona umana, alle sue relazioni di mondo vitale e alle sue formazioni sociali, in base ad un principio di reciprocità positiva, e non a quello dell’uguaglianza delle opportunità individuali, che è proprio dell’individualismo. L’alternativa ai limiti e ai difetti del modello attuale di Stato sociale italiano, ha concluso Donati, consiste quindi nell’idea di una società della sussidiarietà solidale, che non concepisce le politiche sociali come politiche settoriali e residuali per i poveri e i bisognosi.
Tra le voci della mistica, Paola Ricci Sindoni ha citato con ampiezza quella di Carlo Carretto, ricordando l’adunanza oceanica, da lui organizzata a Roma nel settembre 1948 (all’indomani della vittoria della Dc sul fronte popolare il 18 aprile) con i suoi baschi verdi, inventati da lui come distintivo dell’Azione Cattolica e segnale – come dirà più tardi – di un modo trionfante di essere Chiesa. Per Carretto ha aggiunto il richiamo improvviso del deserto non è tanto un’alternativa al troppo attivismo apostolico, è invece l’altra faccia dell’amore che gli veniva prepotentemente richiesta; insomma un altro genere di azione, non quella dell’assalto all’altare, dell’utilizzo del sacro, magari per fini apologetici, ma quella che lascia spazio alla sua carità che per sua natura è universale, casta, equilibrata, santa. E lo stesso – ha detto del fuoco della carità di Caterina da Siena, impegnata a lottare contro le perversioni del potere politico e religioso, ricordando che la promozione del bene comune non ha nulla di sacrale o di metafisico: è virtù politica dell’ordine temporale che contiene in sé una indubbia riserva escatologica.
L’orizzonte della biopolitica è ben più ampio di quello della bioetica, ed oggi la pervasività della biopolitica è inquietante. La biopolitica ha spiegato il relatore – è quel paradigma tipicamente moderno che ritiene l’humanitas non un presupposto, ma un prodotto della prassi. Tra gli esempi di biopolitica, D’Agostino ha citato la legalizzazione pressoché planetaria dell’aborto, avvenuta non casualmente in un arco temporale estremamente ridotto e caratterizzato almeno in Occidente dal consolidarsi del modello democratico: segno inequivocabile, per il giurista, della forza con cui il paradigma biopolitico pretende di gestire la nuda vita, autorizzandone l’esistenza o almeno sindacandone la stessa legittimazione sociale. Secondo esempio plateale del consolidarsi del paradigma biopolitico: l’alterazione dell’ equilibrio alla nascita tra i sessi, come in India e in Cina, dove risultano palesemente inefficaci rimedi quali la repressione penale degli aborti selettivi, fino alla proibizione di qualsiasi indagine prenatale volta a individuare il sesso dei nascituri.
Tra i massimi problemi della bioetica c’è poi, per D’Agostino, quello delle pratiche di procreazione assistita, responsabili della formazione di embrioni soprannumerari congelati, destinati a non essere mai impiantati. Nel Regno Unito, ad esempio, si ordina la periodica distruzione di questi embrioni, indipendentemente da qualsiasi verifica della loro vitalità e senza che si possa addurre una giustificazione se non politica – di questa prassi. E ancora: Le forti tensioni a favore della legalizzazione dell’eutanasia che caratterizzano pressoché tutti i Paesi occidentali. Come l’aborto si è trasformato, da decisione tragica e personalissima di alcune donne, in una pratica sociale di regolamentazione delle nascite, così l’eutanasia si è trasformata da atto omicida estremo in una pratica di gestione burocratica e biopolitica della fine della vita umana, è la denuncia del relatore, secondo il quale solo in apparenza i fautori dell’eutanasia vogliono semplicemente legalizzare quello che essi chiamano il suicidio assistito. Nei fatti, del resto, il tema dell’eutanasia come suicidio assistito è ormai obsoleto, ha puntualizzato D’Agostino, visto che in Olanda il 31% dei pediatri sopprime i neonati malformati, oltre tutto senza acquisire il consenso dei genitori e in Svizzera la Corte Suprema ha stabilito che il malato mentale ha un diritto costituzionale ad essere soppresso.
Tra gli aspetti trattati da Palazzani c’è quello del femminismo di genere, consistente ha spiegato la relatrice nello svalutare la differenza sessuale naturale ritenendola un elemento da negare e combattere, in quanto ha determinato e continua a determinare la fissazione di ruoli e a costruire gerarchie di potere; la famiglia fondata sul matrimonio e la femminilità identificata con la maternità biologica e l’accudimento domestico, sono considerate costruzioni maschiliste da decostruire e di cui disfarsi per progettare biopoliticamente una società che superi la differenza sessuale, liberando la donna dall’oppressione patriarcale. Palazzani ha poi notato che l’obiettivo del femminismo di genere è quello di attribuire alle donne il biopotere o potere sul proprio corpo. Da qui secondo Palazzani emerge anche la richiesta di tecnologie riproduttive per consentire alla donna di emanciparsi dal ruolo riproduttivo, come pure della fecondazione assistita in vitro omologa o eterologa (con donatore esterno anonimo). E ancora: emerge la richiesta alla surrogazione della maternità (gratuita o retribuita), alla ectogenesi e alla clonazione (che consentirebbe alla donna di produrre una figlia, autonomamente mediante prelievo di cellula somatica, trasferimento di nucleo in un ovocita e gestazione).
«La Settimana sociale? Un’occasione importante per confermare l’identità cristiana nella società civile». Così l’avvocato Gabriele Pica Alfieri, pratese, già presidente locale dell’associazione dei giuristi cattolici, delegato all’assise del centenario. «Mi ha colpito molto l’intervento di Stefano Zamagni. Un pensiero, il suo, che guarda al futuro» ad un diverso modo di fare impresa in Italia. Per dirla con uno slogan «più dottrina sociale della Chiesa anche nelle imprese e negli istituti di credito»: oggi le une e le altre non sono capaci di incrociare le esigenze dei ceti più deboli della società. E sui temi della bioetica? «Non dobbiamo arroccarci, ma riuscire a dialogare con il mondo laico».
Sauro Bellini, 82 anni, presidente dell’associazione degli artigiani cattolici (Acai) di Settimane sociali ne ha vissute venti. «La prima cui partecipai? A Pisa nel 1954. Ero ancora un ragazzo e muovevo i primi passi nel mondo del lavoro» ci confida mentre siamo a tavola alla Leopolda, insieme a ottocento delegati ben serviti dal catering Del Carlo di Calci. Anche quest’anno il nostro ha voluto essere presente: «centrato, anzi centratissimo il tema scelto per l’edizione del centenario il bene comune è questione di grande attualità in questo momento della vita politica e istituzionale italiana».
Francesca Scarpellini
Il sito delle Settimane sociali (con i testi integrali degli interventi)