Mondo
La semina del Papa sulle «Primavere arabe»
«Perché tanti orrori? Perché tanti morti? Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare». Numerosissimi sono stati gli appelli alla pace, come questo dell’Angelus del 16 settembre, pronunciati da Benedetto XVI durante il viaggio in Libano appena concluso.
«Perché tanti orrori? Perché tanti morti? Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare». Numerosissimi sono stati gli appelli alla pace, come questo dell’Angelus del 16 settembre, pronunciati da Benedetto XVI durante il viaggio in Libano appena concluso.
Il Papa è andato in Libano durante una lunga e delicata fase di trasformazione degli equilibri e del clima mediorientale. La primavera araba sta producendo frutti notevoli in Tunisia, incontra passaggi delicati probabilmente fecondi in Egitto e trova sangue, tanto sangue, in Siria. Con una coincidenza che potrebbe essere stata cercata, i giorni della visita sono coincisi con l’esplosione delle proteste intorno all’ennesimo e inutile intervento antislamico – una pellicola in questo caso – i cui trailer sono comparsi in rete nei giorni scorsi. Per quanto alcuni media europei abbiano parlato di movimenti di popolo a protestare contro il film e gli Usa accusati di avere ospitato la produzione, in realtà nelle capitali arabe si sono mossi solo poche centinaia di manifestanti. A differenza delle centinaia di migliaia di persone scese in piazza durante le proteste della primavera araba, in questo caso chi ha dato vita alle proteste aveva armi, obiettivi precisi e non è stato seguito dalla popolazione, come le testimonianze dirette da ogni capitale riportano. Sono state attaccate con precisione le ambasciate Usa e le polizie locali, colte impreparate, non sono riuscite a contenere le violenze. Il prezzo è noto: l’assassinio dell’ambasciatore Usa e di tre suoi collaboratori in Libia, morti e feriti negli altri Paesi.
Il viaggio papale si è sviluppato in questo clima, sotto gli occhi attenti di tutti. La maggior parte guardava al passaggio di Benedetto XVI come ad una opportunità preziosa per rilanciare parole di dialogo, ma non mancava chi era pronto a cogliere passi falsi per alimentare la tensione. In questa fase di ricomposizione dell’area mediorientale non vi è solo il fondamentalismo violento o terrorista che agisce. Vi sono molti gruppi, non classificabili facilmente con categorie politiche né etniche, che, privati dei legami con i poteri dittatoriali di ieri, oggi cercano anche attraverso il disordine di rioccupare gli spazi di potere – soprattutto economico – perduto. Ci si chieda, infatti, chi giova di queste violenze oggi in Tunisia o in Libia o chi può profittare del perdurare dello stato di guerra in Siria: non certo le organizzazioni politico culturali che partecipano alla vita pubblica. Oggi nessuno tra la gente vuole guerra e disordine in Medioriente e chi parla di violenza non raccoglie fiducia né consenso. I facinorosi vengono usati come pedine sacrificabili, nel senso letterale del termine, da attori che non si mostrano pubblicamente e attuano giochi di potere spregiudicati.
Quando quei giochi vengono mimetizzati con argomenti etici e religiosi, l’unica arma disponibile è l’educazione: la ripetizione testarda delle ragioni del dialogo e della pace, fondate sulla dignità della persona umana, sulla sacralità e inviolabilità della sua vita, in quanto unica, originale e irripetibile, patrimonio insostituibile per l’intera umanità. In qualche modo questo è quanto ha fatto il papa in questi giorni. “Per aprire alle generazioni di domani un futuro di pace, il primo compito è dunque quello di educare alla pace” e “bandire la violenza verbale o fisica”, ha detto nel discorso alle autorità, ricordando che la pace “non può esistere senza la fiducia nell’altro, chiunque sia” e che “le differenze culturali, sociali, religiose, devono approdare a vivere un nuovo tipo di fraternità, dove appunto ciò che unisce è il senso comune della grandezza di ogni persona, e il dono che essa è per se stessa, per gli altri e per l’umanità”. Non è mancato l’appello più difficile: “si tratta di dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare. Perché solo il perdono dato e ricevuto pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace per tutti.”
Non è possibile prevedere quanto l’appello del Papa sarà seguito. Ma è interessante notare che Hezbollah, il partito islamico sostenuto sino a ieri dal regime siriano e dall’Iran, ha rimandato le manifestazioni di protesta contro il film antislamico a viaggio papale concluso e le testate vicine al movimento hanno riferito con attenzione e rispetto della visita del papa. La manifestazione si è tenuta effettivamente lunedì scorso e il leader Nasrallah, in una delle sue rare apparizioni, ha preso la parola ricordando la consapevolezza e la voglia di coesistere di musulmani e cristiani. La folla scandiva slogan di odio verso gli Usa, ma le parole di Nasrallah erano attente e non ci sono stati incidenti. I prossimi mesi diranno se è un ennesimo gioco di sponda o se stanno maturando, come speriamo da tempo, le condizioni per una collaborazione autentica. Non c’è alternativa alla pace. Ne hanno bisogno il Libano, la Siria, e l’intera comunità internazionale.