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La scuola che verrà all’esame dei cattolici

di Rita Di GoroAttenta, partecipe, la scuola toscana ha dato bella mostra di sé al convegno sulla riforma della scuola organizzato, sabato scorso, dall’arcidiocesi di Firenze e dalla Conferenza Episcopale Toscana. Il dibattito si è svolto ad altissimo livello a partire dal saluto di mons. Mario Meini, vescovo delegato per la pastorale scolastica: «L’obiettivo è portare la totalità dei giovani al livello più alto di qualificazione e competenza per trovare un posto nella società e soprattutto una solida formazione umana».

Il quadro della situazione l’ha tracciato Giovanni Macchia, consigliere centrale dell’unione cattolica insegnanti medi: «L’Uciim esprime un sincero apprezzamento per la personalizzazione; ci piace il riferimento ad una educazione morale e spirituale e il coinvolgimento delle famiglie e dei genitori. Ma la condivisione dei principi non ci impedisce di vedere i problemi: lo scarso coinvolgimento della classe docente e delle realtà associative nella elaborazione della riforma, il mancato riordino degli Organi collegiali, la necessità di più consistenti misure di formazione in servizio». Mariangela Prioreschi, presidente nazionale dell’Aimc (associazione maestri cattolici), ha tenuto a ribadire la piena condivisione dei principi ma ha anche messo il dito sui punti dolenti della riforma: «Siamo preoccupati – ha detto –. La flessibilità organizzativa è difficile, ci vogliono condizioni, tempi e risorse, e questo non può accadere quando si tagliano le compresenze; l’anticipo è solo uno strumento per far tornare i conti, non ha alcuna valenza pedagogica e per di più mancano le strutture per l’accoglienza. E infine il tempo pieno: non ne siamo mai stati alfieri però va riconosciuto che è un modello pedagogico che non si riassume nella semplice somma di 27 più 3 più 10».

Segnali positivi dalle associazioni dei genitori: «La nuova normativa vede le famiglie presenti come partner, e se questo da un lato ci fa piacere, dall’altro ci preoccupa perché le persone non sono pronte – ha dichiarato il presidente nazionale Age Maurizio Salvi –. Avere all’interno delle scuole genitori preparati, che sanno instaurare un dialogo corretto è gratificante anche per i docenti, che vedono riconosciuto il proprio lavoro». «Non è solo l’abitudine a delegare che tiene lontano i genitori, è anche il timore di non essere all’altezza, ma se non entrano a scuola i genitori la revisione non avverrà realmente – ha ribadito Gerardo Veneziani, segretario nazionale Agesc –. Grazie alla partecipazione al portfolio, alla relazione con il docente tutor ci piace pensare che non ci sarà più la delega». Infine alcune voci vive della scuola. Paola Carradori, Diesse, da più di un anno stiamo andando nelle scuole a incontrare i docenti: «Per me insegnante occorre vivere la riforma in modo diverso, rischiarsi nella novità. Ciò che è importante è il rapporto educativo, è lì che viene fuori un’immagine di scuola, e invece tanti colleghi si preoccupano degli aspetti tecnici e organizzativi» ha dichiarato.

Preoccupate due dirigenti scolastiche di Campi Bisenzio e di Massa: «C’è un distacco, uno scollamento fra i principi e le risorse; mancano le risorse economiche e mancano le risorse professionali» dice la prima. «La riforma cammina sulle gambe degli insegnanti – rincara l’altra – Non abbiamo né risorse né continuità né direttive per queste sei classi riformate che iniziano tutte insieme a settembre».

Una sfida organizzativa e didatticaChe un terzo dei ragazzi esca dal sistema formativo senza neppure una qualifica professionale, che i laureati siano il 2,8% e di questi solo un terzo trovi un’occupazione adeguata sono statistiche non nuove ma che è sempre bene ricordare. «Una riforma si fa per rispondere a questi problemi – ha dichiarato Giuseppe Bertagna nell’affollato auditorium della Calza –. La legge 53 riafferma il principio della centralità della persona e valorizza i principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, non si può continuare a ragionare per ambiti. È una sfida organizzativa, ma soprattutto didattica e relazionale».

Le indicazioni pastorali sono venute da don Bruno Stenco, direttore dell’ufficio educazione della Cei: «La riforma della scuola non può non interpellare la comunità cristiana – ha sottolineato –. Il primo sforzo è quello della condivisione e il secondo quello della missione, con un contributo attivo che investe tutte le discipline. La personalizzazione è una grande sfida: è la persona che viene interpellata, è lei che apprende all’interno di un lavoro di gruppo e i genitori non possono essere un elemento accessorio. Occorre investire nell’associazionismo e le realtà cattoliche debbono poter offrire con serietà la propria esperienza attraverso pacchetti didattici. Se le posizioni fra noi cattolici sono diverse occorre convergere in una posizione comune che metta al centro lo studente e veda il primato dell’educazione rispetto all’istruzione e alla formazione, così come ci insegnano i nostri vescovi». Dopo gli interventi del pubblico la replica finale: «Diceva Adam Smith nel 1776 che non esiste sviluppo sociale se non c’è un fortissimo sviluppo in conoscenza – ha ricordato Bertagna – e nel nostro Paese non abbiamo un solo indice in crescita dal 1974. Occorre avere una originalità creativa: o ne usciamo insieme o non si va da nessuna parte. Il ragazzo che entra nell’istruzione superiore si iscrive a un campus: là troverà un docente tutor che lo accompagnerà nelle sue scelte.

E se il tutor genera conflittualità, questo dimostra che non esiste l’équipe, che non c’è tutorialità diffusa». Soddisfatto alla fine il responsabile regionale della pastorale scolastica, mons. Dante Carolla, organizzatore e moderatore dell’incontro: «Questo convegno regionale si inserisce in un intenso cammino di pastorale scolastica che stiamo attuando: i cristiani impegnati nella scuola sono chiamati a dare una testimonianza fatta anche di competenza e serietà, e devo dire che il prof. Bertagna oggi ci ha insegnato a pensare in grande».

Irc, firmata l’intesa