Toscana
La scommessa del Partito Democratico
di Claudio Turrini
Lo scenario italiano aveva bisogno di una scossa. Non poteva andare avanti con gli attuali 15-16 partiti, con due coalizioni che devono sottostare a gruppi con il 2%». Giorgio Campanini, docente emerito di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Parma, da studioso del movimento cattolico, guarda con interesse alla nascita del Partito Democratico. Lo ritiene una «scommessa» coraggiosa, che potrà portare ad una «semplificazione dello scenario politico» anche se poi «bisognerà vedere se alle intenzioni seguiranno i fatti».
Professor Campanini, Ds e Margherita hanno deciso di «chiudere bottega» e dar vita ad un nuovo partito, o meglio, come dicono loro, ad un «partito nuovo». Cosa cambia per la politica italiana?
«La costruzione del partito democratico è un importante segnale di cambiamento nella storia politica italiana perché rappresenta uno sforzo di incontro e, per quanto possibile, di omogeneizzazione di forze che storicamente in passato erano contrapposte e talvolta anche duramente contrapposte tra di loro. Allo scenario attuale di un centrosinistra frammentato in una decina di partiti e di un centrodestra che anch’esso ha quattro o cinque gambe (se si considera anche la piccola Dc di Rotondi) si contrapporrebbe nel centro sinistra una forza robusta, relativamente omogenea e in grado anche di superare le eccessive diversità e le forti litigiosità che hanno caratterizzato i piccoli partiti. Sostanzialmente il Pd vorrebbe assumere il ruolo di grande contenitore della cultura e del progetto di centrosinistra con un evidente ridimensionamento se le cose andranno secondo gli auspici dei piccoli partiti, con i quali gli accordi si sono dimostrati difficili e faticosi».
Sulle questioni etiche non mancano però diversità tra le due culture politiche. Basti pensare al referendum sulla legge 40 o al disegno di legge sui Dico.
«Il nodo sono proprio le questioni etiche. Su altri ambiti, come politica economica, politica estera, e anche scolastica, credo che una ragionevole base di intesa ci sia già. Ma da quanto si legge sulla stampa e in attesa di vedere come si evolveranno le cose, le frange più vicine al partito radicale e più lontane dalla vera tradizione socialista o si stanno autoescludendo dalla creazione del Pd o stanno assumendo un ruolo decisamente marginale. Per cui credo che con il Pd sarà meno forte la spinta a innovazioni legislative che l’opinione pubblica nella sostanza non condivide».
Difficile però che la base dei Ds rinunci a certe parole d’ordine di stampo «radicale»…
«Sicuramente dei problemi ci saranno. D’altra parte gli stessi problemi ci sarebbero anche senza il Pd. Qualunque coalizione, tanto di centrodestra che di centrosinistra deve fare i conti al proprio interno con queste diverse valutazioni sui temi etici. Anche il centrodestra è molto meno omogeneo di quanto non potrebbe apparire».
Altro nodo è la collocazione in Europa del nuovo partito.
«Penso che sia da escludere l’adesione della componente della Margherita al gruppo del Partito socialista europeo, anche perché questo gruppo ha al suo interno delle componenti fortemente radicali. Invece credo che potrebbe avere un suo senso il progetto di una grande formazione di democratici europei nella quale potrebbe entrare anche esponenti di componenti socialiste di altri paesi (come quelli scandinavi) meno attanagliate da queste preoccupazioni di tipo radicale».
I delegati al congresso dei Ds hanno messo al terzo posto nel loro Pantheon ideale, dopo Berlinguer e Gramsci, il nemico di un tempo, Alcide De Gasperi. Ne è sorpreso?
«Un po’ sorpreso sì, ma non troppo. Perché al di là dell’apprezzamento per la figura umana e la statura morale di De Gasperi, che sicuramente ha pesato, questa rilegittimazione da parte di chi storicamente lo aveva duramente contestato è il portato del riconoscimento dell’errore a suo tempo compiuto dai comunisti, e in gran parte anche dai socialisti, della scelta di campo per il modello dell’Unione Sovietica. Accettare il modello occidentale, riconoscere che il Patto Atlantico, con tutti i suoi limiti ha salvaguardato la pace e non ha prodotto la terza guerra mondiale, come i comunisti sostenevano, oggi mi sembra pacificamente riconosciuto. Il ruolo positivo di De Gasperi è quindi visto più in termini di collocazione internazionale dell’Italia che di accettazione della politica centrista sulla quale rimangono riserve degli eredi di comunisti e socialisti, ma anche dei cattolici democratici. Non dimentichiamo che tra gli ispiratori dell’attuale Margherita ci sono degli uomini della sinistra cattolica, da Dossetti a La Pira al primo Fanfani, che erano di fatto in posizione dialettica con De Gasperi».
Pochi giorni fa, l’Udc, nel suo congresso, aveva rilanciato l’idea di un partito dei moderati che poteva attrarre anche i cattolici nel centrosinistra. Come si concilia questa prospettiva con quella della nascita del Partito democratico?
«Penso che i cammini siano definitivamente divaricati, almeno per quel definitivamente che appartiene alla sfera della politica, perché indubbiamente c’è una diversa sensibilità su molti temi. Ciascuno deve fare la propria parte sulla base della scelta di campo che ha operato. Una presenza di cattolici è molto utile da una parte e dall’altra: come moderazione, a sinistra, di certe spinte radicaloidi e, a destra, di un’esaltazione acritica dell’economia di mercato, del consumismo e della competitività. Credo che l’unità politica dei cattolici sia definitivamente superata».
Non c’è spazio, dunque, per un polo di centro?
«L’idea di un terzo polo, che sta al centro tra un centrosinistra e un centrodestra, è un obiettivo non realizzabile nell’attuale contesto e non raggiungibile nel breve termine».
Intanto però il Partito democratico potrebbe perdere, «al centro», componenti come l’Udeur di Mastella o la corrente di Dini…
«Il Partito Democratico è una scommessa. Sicuramente qualche pezzo degli attuali componenti lo perderà per strada. La scommessa è vedere se la perdita non possa essere compensata da nuovi ingressi di coloro che oggi sono sostanzialmente ai margini della politica e che potrebbero vedere in questa nuova figura di partito un qualcosa per il quale vale la pena di impegnarsi. Se il Pd è rappresentato semplicemente dalla somma degli aderenti, l’operazione avverrà in perdita come quadri e come voti».
Come è sempre avvenuto con le unificazioni...
«Esatto. Se invece riuscirà ad aprirsi alla cosidetta società civile, agli intellettuali, a tanti gruppi che oggi sono ai margini della politica, allora quello che si perde da una parte sarà compensato e forse anche ampiamente da un’altra parte. Questa è la scommessa: bisognerà vedere come si costituirà il Pd, che spazio avranno le forze nuove, se si aprirà soprattutto ai giovani, se si cercheranno collegamenti con i tanti gruppi operanti nel sociale, nel volontariato. Questo credo sia il progetto di Prodi: fare un partito nuovo non come sommatoria degli attuali partiti ma come una realtà diversa».
Molto dipenderà però anche dalla legge elettorale…
«Si può anche avere il coraggio di lasciare al loro destino i piccolissimi e sfidare l’opinione pubblica. In Inghilterra all’inizio c’erano 10 o 12 raggruppamenti a sinistra e perdevano sistematicamente. Alla fine hanno capito che occorreva unirsi, e si sono uniti nel partito laburista, ma ci sono voluti 30-40 anni. Quando un elettore per tre o quattro volte vede il suo voto perduto allora si rassegna a votare per un partito che può andare in Parlamento. I partiti esclusi dai cartelli faranno due tre campagne, ci vorranno 15 o 20 anni ma alla fine si dovranno rassegnare. Ci vuole un po’ di coraggio. Bisogna fare delle coalizioni lasciando fuori qualcuno e abbandonandolo al suo destino…».
E se il progetto del partito democratico fallirà?
«Se fallirà avremo ancora queste due traballanti coalizioni che conosciamo da quando c’è il bipolarismo. Un bipolarismo che fa ridere gli osservatori internazionali, perché le due coalizioni non sono altro che litigiose assemblee condominiali contrapposte le une alle altre».
I congressi
Lo Sdi a Fiuggi (13-15 aprile) «Romano non ci ha convinto: il partito democratico, resta un compromesso storico bonsai». Così il segretario dello Sdi Enrico Boselli, ha chiuso il congresso, respingendo l’invito di Prodi ad entrare nel Pd. Da qui la nascita di una costituente per un nuovo partito socialista, che dovrà «unire la nostra antica famiglia».
L’Udc a Roma (13-15 aprile) Lorenzo Cesa è stato confermato segretario dell’Udc, con oltre l’86% dei consensi dal III congresso del suo partito. Dal congresso esce un Udc autonoma rispetto alle altre forze di centrodestra ma alternativa alle sinistre.
I Ds a Firenze (19-21 aprile) Oltre 1.500 delegati per il IV Congresso dei Ds al «Mandela Forum» di Firenze, che confermano Fassino segretario. Dopo lo «strappo» di Mussi, approvato un odg che impegna ad aprire la fase costituente del partito democratico. Votano contro i componenti della terza mozione guidata da Gavino Angius.
La Margherita a Roma (20-22 aprile) Francesco Rutelli è stato rieletto segretario al termine di un congresso che ha approvato la nascita del Pd. «Caro Piero, siamo già adesso lo stesso partito, già ora condividiamo gli stessi orizzonti, siamo accomunati dalle stesse priorità», ha detto Rutelli nel suo intervento conclusivo, rivolgendosi al segretario dei Ds.
La Toscana crocevia delle vicende politiche italiane
Ennio Cicali