Opinioni & Commenti
La Russia, la crisi d’astinenza da impero e i deficit dell’Europa
di Romanello Cantini
Fino ad un mese fa quando i giornali hanno cominciato a ingrandire i loro territori era quasi impossibile trovare l’Abkhazia e l’Ossezia su una carta geografica. D’altra parte per scrivere su una mappa ingrandita nomi di queste regioni di regioni, veri coriandoli usciti dalla triturazione dell’impero russo di quindici anni fa, bisogna invadere con i caratteri un po’ di Georgia di cui questi territori fanno parte e un po’ di Russia con cui confinano. L’Abkhazia ha meno abitanti di Firenze, l’Ossezia ne ha meno di Siena. E tuttavia i due territori della dimensione di una provincia se non di un comune chiedono l’indipendenza anche se a giustificare questa indipendenza, a parte la taglia mancano anche gli ingredienti indispensabili di ogni irrendentismo come la nazionalità e la lingua.
Gli abkhazi che vorrebbero unirsi alla Russia non sono russi, ma solo filorussi. Non parlano infatti il russo, ma una lingua di origine iraniana. Diventarono filorussi per ragioni politiche quando nel 1921 i bolscevichi riconquistarono la Georgia trovando l’ostilità dei georgiani e il sostegno degli abkhazi che per questo furono ricompensati con la creazione di una regione autonoma.
È evidente quindi che nella decisione della Russia di Putin di riconoscere ora quella indipendenza dalla Georgia della Abkhazia e dell’Ossezia che la Russia di Eltsin non volle riconoscere quindici anni fa quando le due regioni si ribellarono per cercare di ottenerla, c’è non tanto il riconoscimento di un diritto quanto una politica nuova della Russia che vuole imporre la sua influenza intorno ai suoi confini anche se per fare questo usa i mezzi del secolo scorso se non di due secoli fa. Anche ammesso e non concesso che gli abkhazi e gli ossezi siano russi l’idea di una grande potenza che si fa protettrice di tutti i gruppi dei suoi connazionali che esistono al di fuori del suo territorio cercando di dare loro uno stato proprio è una idea tipica e disastrosa del passato. È con questa farisaica preoccupazione di dare uno stato ai propri emigranti all’estero che si crearono le colonie. È con il pretesto di dare l’indipendenza politica ai fratelli slavi dello penisola balcanica che la Russia scese in guerra contro la Turchia per quattro volte nel corso dell’Ottocento. È con il pretesto di dare uno stato tedesco ai tedeschi della Cecoslovacchia e della Polonia che Hitler scatenò la seconda guerra mondiale. Per questo motivo in genere dopo gli enormi disastri cominciati intorno a nomi come Seraievo e Danzica che divennero simbolo di irredentismi dal suono sinistro oggi in genere si pensa che le minoranze si tutelano solo con la autonomia e i diritti civili all’interno degli stati in cui si trovano.
E tuttavia se oggi Putin torna allo logica della grande potenza con i metodi che sono più dello zar che di Stalin non tutto dipende dalla nostalgia della grandezza del passato che riaffiora ora nella stragrande maggioranza della opinione pubblica russa e che fa sì che il vero capo dell’Urss tanto più trionfa all’interno quanto più fa la voce grossa all’estero. Intanto già questi traumi da retrocessione non superati costituiscono di per sé un problema di cui si deve tenere conto proprio perché non sono né i primi né gli ultimi. La crisi di astinenza da impero è una malattia piuttosto comune come dimostrano il senso di frustrazione e la voglia di rivincita del mondo islamico provocati dalla fine del califfato e tutt’altro che placati anche dopo quasi un secolo.
Questo complesso di inferiorità dei russi che ora tenta di curarsi con un complesso di superiorità deriva anche dal fatto che dopo la caduta del muro di Berlino il mondo occidentale non si è accontentato di vincere, ma ha voluto stravincere. Non gli è bastato di assistere trionfante allo spettacolo del patto di Varsavia sciolto e dell’Unione Sovietica fatta a pezzi. Obbedendo all’innato antisovietismo dei paesi che per tanto tempo sono stati sotto il tallone dell’Urss si sono voluti accogliere in massa nella Nato tutti gli ex-paesi del patto di Varsavia e solo per una esitazione in extremis degli europei si è chiusa all’ultimo momento la porta a paesi come l’Ucraina e la Georgia che per quattro secoli sono state Russia. Il fatto che l’adesione alla Nato sia stata chiesta dai vicini dell’Urss non è un motivo sufficiente per non tenere conto delle ragioni dell’equilibrio. Ogni vicino di casa di ogni superpotenza tende ad essergli ostile tanto che sarebbe estremamente facile trovare oggi in America latina paesi disposti ad entrare in qualsiasi alleanza contro i «gringos» e non solo nella Cuba di Castro o nel Venezuela di Chavez.
La Russia postsovietica si è sentita completamente esclusa dalla sistemazione di quei popoli della ex-Jugoslavia che da sempre sono stati sentiti come i parenti lontani della grande famiglia slava e l’indipendenza del Kossovo che ha amputato ciò che rimane della Serbia slava e ortodossa ha costituito per Putin il pretesto per riconoscere da parte sua qualsiasi indipendenza nel Caucaso che serva ai suoi interessi. Le basi della Nato costruite nei paesi vicini hanno rilanciato la corsa agli armamenti con il bel risultato che Putin ora minaccia di far saltare gli unici accordi di disarmo che siano stati raggiunti in sessanta anni come eredità preziosa del fortunato periodo di Gorbaciov: quello sulla eliminazione degli euromissili e quello sulle riduzione delle forze convenzionali in Europa.
La decisione recentissima di installare dieci missili antimissili in Polonia ha già ricevuto da Putin la ritorsione che da sempre è stata promessa a questo sistema di difesa, che cioè la Russia svilupperà missili ancor più potenti capaci di sfondare la rete antimissile. Da parte americana si osserva che gli antimissili polacchi dovranno servire contro gli eventuali missili iraniani, Ma è evidente che, a parte l’efficacia di questi antimissili su cui sono in pochi a giurare, proprio lo scontro in atto con la Russia allontana la possibilità della partecipazione di Putin alle pressioni su Teheran perché rinunci all’arma nucleare. Di fatto e al di là di ogni intenzione la rete antimissile contro l’Iran rende più spedita la strada per la costruzione dei missili atomici iraniani. Nella festa per il trionfo sul comunismo la Russia non è stata solo umiliata, ma anche sottovalutata.
L’Europa che si vanta della sua ricchezza sembra che spesso non si rammenti che la Russia che ci dà il 40% del gas o 20% del petrolio che consumiamo può renderci poveri quando vuole. D’altra parte senza la Russia è chiusa la strada per andare in Afghanistan, non c’è forza sufficiente per cercare di dissuadere l’Iran dai suoi progetti atomici, non é possibile trovare nessuna pace in Medio Oriente. Speriamo che l’Europa dopo aver goduto per più di dieci anni del deficit altrui cominci d’ora in avanti a riflettere sui deficit propri che non permettono nessuna arroganza e cerchi il dialogo anziché la prova di forza.