Toscana

La ricercatrice toscana che sa come sconfiggere l’antrace

La sua scoperta è rivoluzionaria e rappresenta un decisivo passo in avanti nel contrasto alle malattie causate da batteri. Antonella Fioravanti, 36 anni, ricercatrice di Prato laureata a Firenze, lavora all’Università di Bruxelles (Vub) e nel luglio scorso ha pubblicato su Nature Microbiology – una tra le più importanti riviste scientifiche a livello internazionale – il suo ultimo studio. E la sua ricerca, durata quattro anni, sta già facendo il giro del mondo: la scienziata è riuscita a trovare una cura più efficace per guarire l’antrace. Ma la ricercatrice non si definisce un «cervello in fuga»: «Mi sento una scienziata e una cittadina europea, sono laureata in Italia, mi sono perfezionata in Francia e ho compiuto le mie ricerche in Belgio. Sono convinta che questo sia il modo giusto di fare ricerca: muovendosi si impara, si porta e si prende, parlare con il mondo apre la mente».

Questa infezione causata dal batterio Bacillus anthracis è molto più pericolosa di quanto si possa pensare. La sua diffusione è maggiore nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa e in India, ma anche in Europa e negli Stati Uniti sono molto comuni episodi di contagio di animali e uomini. Se non viene curata in tempo l’infezione da antrace può portare alla morte in sole due settimane. «I tipi di contagio sono tre: cutaneo, il più diffuso, per via respiratoria e per ingerimento», spiega la dottoressa. Se per il primo tipo, quello cutaneo, che avviene per contatto, gli antibiotici funzionano, per gli altri due la cura è complicata perché la l’infezione procede rapidamente diffondendosi nel sangue.

«Il Bacillus è presente fin dai tempi preistorici – afferma la ricercatrice – è molto resistente e quando è esposto all’ambiente si trasforma in una spora diventando ancora più forte. Addirittura può aspettare fino a 300 anni prima di attaccare delle forme di vita». Nel 2016, in Siberia, dopo lo scioglimento del permafrost, un branco di renne si è ammalato dopo essersi cibato di erba contaminata. In quel punto, 180 anni prima, c’era stata una epidemia di antrace. «Le spore hanno resistito sotto al ghiaccio e poi hanno attaccato altre renne quasi due secoli dopo, permettendo così all’antrace di diffondersi nei villaggi vicini. Purtroppo sono morti anche dei bambini», dice Fioravanti. In molti poi si ricorderanno il caso delle lettere all’antrace inviate per posta contenenti spore che hanno causato la morte di giornalisti e senatori negli Stati Uniti all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. È durante i due conflitti mondiali che l’antrace inizia ad essere  studiato e utilizzato come arma batteriologica e ancora oggi, sebbene bandito da trattati internazionali, molti regimi ne studiano l’impiego a fini bellici. «Le ricerche su questo batterio hanno tirato fuori il meglio e il peggio dell’umanità – osserva Fioravanti – e nel primo caso possiamo citare Louis Pasteur che a fine Ottocento per dimostrare al pubblico l’efficacia dei primi vaccini utilizzò dei batteri di antrace da iniettare a delle pecore non vaccinate: queste morirono mentre quelle sottoposte a vaccinazione riuscirono a sopravvivere». Dunque la malattia si può combattere? «Purtroppo questi vaccini non possono essere usati sull’uomo perché hanno una percentuale troppo alta di rischio, una delle ultime varianti è all’1%. Troppo pericoloso».

Antonella spiega che il batterio dell’antrace è molto resistente perché dotato di una «armatura» fatta di proteine identificata fin dagli anni ’50, dunque già osservata, ma mai riprodotta in vitro e dunque fino a oggi mai analizzata in dettaglio. La grande scoperta di Fioravanti è quella di essere riuscita a ricreare in laboratorio questa corazza e poi a trovare un modo per distruggerla, mettendo così fuori gioco il batterio, grazie all’utilizzo di un «nanobody», un pezzetto di anticorpo preso dai lama. «Mi sono detta: se riesco a “strappare” questa armatura e lascio “nudo” il batterio posso danneggiarlo talmente da permettere al sistema immunitario di riuscire sconfiggerlo».

L’Università di Bruxelles si era già resa famosa negli anni 2000 perché aveva scoperto la specificità degli anticorpi dei lama e dei cammelli, che sono diversi da quelli di altri mammiferi, chiamati «convenzionali». Fioravanti è partita dalle conoscenze apprese dall’ateneo dove lavora e le ha applicate alla lotta dell’antrace. «Con il nano-anticorpo del lama per prima cosa sono riuscita stabilizzare in laboratorio il mattoncino, una proteina,  che costituisce l’armatura del batterio e ho finalmente potuto studiare com’è fatta questa “corazza”, come si organizza e dove potevo intervenire per distruggerla. E questo non era affatto scontato: non sempre ciò che blocca la formazione può distruggere». L’esperimento di Antonella funziona sia in vitro  che sul batterio vero e proprio: «Se infetto dei topi dopo 100 ore muoiono – afferma la ricercatrice – ma dando loro i nanobody che distruggono l’armatura, due volte al giorno per cinque giorni, questi puliscono l’infezione e fanno guarire il 100% dei topi».

Un risultato senza dubbio eccezionale, destinato a cambiare le conoscenze scientifiche sull’antrace. La scoperta è stata brevettata e secondo la studiosa pratese il meccanismo di azione di questi nuovi antibiotici può essere usato anche per combattere altri tipi di batteri che causano malattie differenti. «Pensiamo ad infezioni ospedaliere, come quelle prodotte da Serratia marcescens: applicando questo sistema possiamo intervenire con maggiore efficacia».

Antonella è già stata a Washington a presentare la sua ricerca e recentemente ha partecipato come relatrice alla conferenza internazionale The Biology of Anthrax che si è tenuta in questi giorni a Bari.