«Non si faccia passare per carità ciò che è dovuto per giustizia». Questa citazione dal Concilio Vaticano II riassume bene il senso degli incontri tenutisi nei giorni scorsi a Pisa e Livorno per presentare il rapporto sul debito 2000-2005 redatto dalla Fondazione Giustizia e Solidarietà (la cronaca dell’intera giornata nelle pagine regionali).Perché l’Africa, un continente potenzialmente ricchissimo, vive in buona parte, nell’indigenza più estrema? È possibile semplicemente «esportare» in Africa i modelli politici ed economici occidentali? E ancora: cosa rispondere ai ragazzi africani che chiedono: come abbiamo fatto ad accumulare questa montagna di debiti, se in realtà attorno a noi vediamo solo povertà e desolazione? Sono domande che ha posto a se stesso e al pubblico il professor Martin Nkafu della Pontificia università lateranense.Il fatto è che la cooperazione internazionale – si è risposto Nkafu – fallisce i propri obiettivi se non riesce a porsi come partner, alla pari, dei paesi e delle persone che vuole aiutare. E troppo spesso solo la Chiesa, in questi anni, è riuscita a costruire qualcosa assieme agli africani: costruzione materiale, ma anche elevazione e crescita delle società.Alcune risposte le ha date anche il professor Pasquale De Muro, dell’Università Roma III, che ha spiegato come le politiche basate sul liberismo e sul rigore fiscale – che gli stessi paesi industrializzati hanno difficoltà ad applicare – siano state una sorta di cappio che ha finito con lo strangolare le fragili economie di tanti paesi africani. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, che di quelle politiche sono stati alfieri e guardiani, stanno in parte rivedendo quelle posizioni – su cui si erano arroccati da almeno 25 anni – ma certo sarà difficile riparare ai danni fatti. Proprio intorno all’atteggiamento dei paesi ricchi ha ruotato la riflessione dell’arcivescovo Alessandro Plotti, che ha sottolineato come si stia correndo il rischio – con l’eventuale definitiva cancellazione del debito – di rimandare a un domani peraltro vicinissimo la risoluzione di problemi che in Africa sono strutturali, e che solo una decisa volontà politica da parte della comunità internazionale può pensare di risolvere. Ma i governi e l’opinione pubblica sembrano attratte da altri questioni; lo sconforto sarebbe inevitabile se poi si misurasse il loro grado di attenzione ai problemi dell’Africa attraverso gli spazi che vi dedicano i mass-media. «A parte il quotidiano Avvenire – ha detto monsignor Diego Coletti, vescovo di Livorno – la stampa e le televisioni non sembrano minimamente interessate ad offrire all’opinione pubblica informazioni su quanto accade nei paesi poveri del mondo». E allora cosa fare? Una risposta è venuta dal vicario generale della nostra diocesi monsignor Antonio Cecconi, che ha sostenuto come anche le più piccole iniziative organizzate dalle parrocchia o dalle scuole possano servire a scalfire l’involucro di insensibilità – o di semplice ignoranza – di cui siamo circondati. Un esempio? L’organizzazione di un rinfresco per le cresime utilizzando i prodotti del commercio equo e solidale; è una piccola, piccolissima cosa, ha detto, ma che riesce ad incidere sulle coscienze dei ragazzi e dei loro genitori più di una trasmissione televisiva.Un’altra risposta è venuta da don Enrico Giovacchini, direttore della Fondazione Toniolo, che ha sostenuto come la «scelta preferenziale per i poveri» – che è parte fondamentale del messaggio evangelico e dell’insegnamento della chiesa – debba essere tradotta anche in forme culturali e nella partecipazione effettiva di tutti ai processi democratici.