Toscana
La Regione contro tutti. L’assessore riscrive la legge urbanistica regionale
L’assessore all’urbanistica della Regione Toscana, Anna Marson, sta riscrivendo la legge urbanistica regionale del 2005. Faccenda per politici e addetti ai lavori? Forse, ma il fatto interessante è che la sezione toscana dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, che poi redigono i piani urbanistici, si mostra fieramente avversa, e i toni che si sono levati dall’assemblea dei sindaci toscani svoltasi lo scorso 7 marzo non sono certo dei più concilianti.
Una sorta di giuramento di Pontida contro una Regione vista come accentratrice, quasi prevaricatrice delle libertà comunali tanto da essere dipinta, dal sindaco di Scandicci Simone Gheri, responsabile per l’urbanistica dell’Anci Toscana, come la «la maestrina dalla penna rossa, pronta a correggere gli errori» dei comuni, ovviamente. Concetto ribadito nel documento approvato dall’assemblea che reputa impensabile «reintrodurre nella sostanza il vecchio modello gerarchico-piramidale in cui qualcuno pianifica e qualcun altro unilateralmente corregge con la matita rossa».
La matita rossa sembra una immagine che ha colpito i sindaci, forse perché il rosso è il colore che politicamente accomuna l’amministrazione regionale e quella della maggior parte dei comuni. Comunanza politica che fa apparire questa specie di baruffa quasi sorprendente, se non si entra nel merito della materia del contendere e non si elencano gli attori sulla scena. Questi sono almeno tre: dei due, Regione e comuni, si è detto, il terzo è rappresentato da quella variopinta galassia che va sotto il nome di Rete dei comitati, capeggiata da Alberto Asor Rosa.
L’assemblea della Rete dei comitati, si è tenuta lo scorso 3 febbraio a Firenze. In quella occasione intervenne anche il presidente della Regione Enrico Rossi, il quale, continuando sulla linea di apertura, sollecitò i comitati a interagire, addirittura con un invito a relazionare in Giunta. Ne è risultata una piattaforma articolata di denunce, progetti alternativi e richieste alla Regione, come quella di riprendere il controllo della politica urbanistica comunale, alla quale viene imputata la gran parte della «dilapidazione del territorio».
Già, perché a partire dalla legge del 1995 e in base al principio di sussidiarietà, ogni comune approva il proprio piano urbanistico. Sin dall’inizio del suo mandato Marsona veva puntato il dito su questo problema, sostenendo in una intervista del 2010 che l’errore era di «aver dato autonomia ai comuni senza accompagnarla con adeguato sostegno», e che occorreva «creare ai poteri dei comuni i corrispettivi contropoteri».
Ed è quello che si sta facendo appunto con la riscrittura, condivisa e difesa da Rossi, della legge, con la quale si stabilisce un controllo sull’attività urbanistica dei comuni, mentre la Regione stringe una sorta di patto con la Rete dei comitati, perché facciano i guardiani dei comuni che dovranno limitare il consumo di suolo.
Quella del consumo di suolo è una disputa che va avanti dal 2008, quando l’allora assessore Riccardo Conti, a seguito di uno studio dell’Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica) annunciò trionfante che il suolo urbanizzato in Toscana era solo il 4%. Peccato che quella indagine si basasse su una suddivisione del territorio regionale in quadrati di 500 metri di lato, incapaci di cogliere i variegati aspetti della urbanizzazione diffusa, tanto che la successiva analisi condotta dall’assessore Marson, dimostrò che tale percentuale era almeno il doppio.
Non solo: una ricerca dell’Irpet del 2012, su un campione di 109 comuni toscani, ha mostrato che le previsioni residenziali dei piani avrebbero potuto ospitare il 19,5% della popolazione di quei comuni, risultato che, estrapolato su tutta la Regione, darebbe circa 700 mila nuovi abitanti.
Cifre teoriche ovviamente, tenuto conto della crisi che sta falcidiando le imprese edili, che però fanno intravedere una tendenza ad aggiungere, piuttosto che a togliere, quantità di edificato. Proprio per contrastare questa tendenza e limitare il consumo di suolo la proposta di legge introduce la distinzione tra aree urbanizzate e rurali.
I comuni dovranno delimitare le aree urbanizzate, seguendo i criteri dati dalla nuova legge. Una volta fatto questo, si saranno costruiti la gabbia con le loro mani: fuori dalle aree urbanizzate espansioni residenziali non saranno permesse, allo scopo di favorire il riuso e la ristrutturazione. Espansioni limitatamente alle aree produttive, infrastrutture e grandi strutture di vendita saranno possibili solo col parere favorevole della maggioranza dei comuni dell’area sovracomunale e comunque col parere vincolante della Regione, cosa che non va giù ai comuni perché percepita come prevaricante.
Ma non è solo la libertà di regolare la materia urbanistica che è in gioco. Si tratta anche di un altro problema politico. L’urbanistica è da sempre un terreno privilegiato per la formazione del consenso: sia scegliendo oculatamente i terreni fabbricabili, sia favorendo la costruzione di edilizia popolare, e cooperativa che significa dare una casa a costo contenuto, trasferendo la rendita dai proprietari delle aree alle famiglie.
Inoltre, attraverso gli oneri, l’edificazione è stata un formidabile strumento di sostegno per le finanze locali, che vedevano nella costruzione di nuove aree il modo per realizzare scuole, verde pubblico e sevizi sociali. I sindaci che hanno rappresentato le antenne del partito di maggioranza sul territorio, che anche attraverso l’urbanistica hanno lavorato per il suo radicamento sociale ora, in qualche misura, si sentono traditi, ed esautorati.
D’altra parte i recenti risultati elettorali che hanno visto il M5S (il movimento di Grillo) prendere il 24% dei consensi in Toscana, mettono a rischio alcuni comuni come ad esempio Massa dove il M5S ha raggiunto il 29%. Diviene quindi necessario per il Pd rafforzare (o ritrovare) il rapporto diretto con la base attraverso i comitati, mostrando un volto ambientalista che coesiste però con le posizioni «sviluppiste» a proposito delle grandi infrastrutture regionali come aeroporto, Tav e Tirrenica.
Tuttavia anche avere i sindaci contro non giova al Pd, attualmente in Toscana in una fase di ristrutturazione con la base che preme per il cambiamento dei vertici. Si levano quindi appelli alla concordia dato che alla fine tutti, almeno a parole, sono d’accordo sulla tutela dell’ambiente e del territorio, e che quindi pace e collaborazione dovrebbe esistere anche tra comitati e comuni.
L’Upi (Unione delle province italiane) propone una mediazione nella quale si ritaglia un ruolo, mentre l’Inu (Istituto nazionale di urbanistica) più vicino all’Anci che ai comitati, lascia intravedere spiragli di accordo. Il suo segretario nazionale, Giuseppe De Luca, che a Firenze è professore alla Facoltà di architettura ci tiene a sottolineare che, «più che pensare a un controllo gerarchico, che nell’attuale inconsistenza di molti confini amministrativi comunali non ha più gran senso, occorre individuare gli ambiti territoriali dentro quali i comuni debbano obbligatoriamente cooperare per definire piani strutturali coordinati, lavorando insieme agli enti territoriali sovraordinati, e lasciando la successiva parte operativa ai comuni. La Regione potrebbe mantenere il potere diintervenire solo nel caso in cui non si giunga ad un accordo. Ma – aggiunge – deve avere un proprio piano, il vigente Pit (Piano di indirizzo territoriale) ha esaurito la propria valenza strategica nel 2010, essendo stato promosso dall’assessore Conti e approvato dalla giunta Martini».
Si tende quindi a trovare un compromesso, conciliando il rispetto del principio di sussidiarietà con la necessità di un coordinamento. Forse vedremo dei passi da ambo le parti. Gli appuntamenti elettorali si approssimano.
* Ricercatore, Dipartimento di Architettura Università di Firenze