Italia

La pubblicità alla ricerca di un’anima

DI ANDREA FAGIOLILa pubblicità non lascia indefferenti: fa sorridare, divertire, storcere il naso, arrabbiare…. A volte è un pugno nello stomaco, altre una carezza per il verso del pelo. La pubblicità fa discutere e se non lo facesse fallirebbe il suo scopo. Un esempio? La campagna «Più testa, meno farmaci» che stiamo pubblicando da tre settimane nella pagina qui a fianco. Soprattutto il bozzetto dello scorsa settimana ha suscitato non poche perplessità e qualche protesta. Non è stato compreso? Era ironico od offensivo? Quel che è certo è che ha ottenuto il suo scopo: ne abbiamo e ne stiamo parlando.

Ogni tanto ci si chiede se la pubblicità, oltre ad essere l’anima del commercio, non sia diventata il commercio dell’anima. Eppure, almeno in Toscana, c’è un vescovo che ha avuto il coraggio di riunire attorno ad un tavolo esperti e addetti ai lavori da tutta Italia per parlare, provocatoriamente, di «Pubblicità santa, santa pubblicità». E lo ha fatto nel nome di San Bernardino, patrono dei pubblicitari. Il vescovo è Giovanni Santucci, titolare di quella diocesi (Massa Marittima-Piombino) che ha dato i natali al santo predicatore conosciuto nel mondo come «da Siena». Ma il «da» non è «di». Il più famoso Sant’Antonio da Padova, non solo non era nato nella città veneta, ma addirittura era portoghese, di Lisbona.

L’iniziativa di Santucci non ha riscosso il favore della diocesi e della popolazione di Massa Marittima, stando almeno alle presenze da riunione di condominio che hanno segnato l’intera giornata di sabato 25 ottobre presso il Seminario vescovile. Eppure, l’iniziativa era di quelle giuste, anche per chi si occupa di pastorale o di catechismo ed è chiamato a fare i conti con chi tutti i giorni gli dice che «per cambiare auto non importa avere figli».

«L’intento – spiega Santucci – era quello di favorire un dialogo tra chi si occupa di pubblicità per capire se ci può essere un’etica della pubblicità e se si può fare pubblicità pensando alla persona nella sua interezza e non solo come eventuale acquirente».

All’interrogativo se «La pubblicità ha un’anima?» ha risposto, tra gli altri, Alberto Contri, presidente di Pubblicità Progresso ed ex membro del Consiglio d’amministrazione della Rai: «Sì, la pubblicità ha un’anima buona e una meno buona. Ma non dimentichiamo che quando la pubblicità fa bene il suo lavoro, migliaia di persone mantengono il proprio. L’importante è non demonizzarla a priori. Troppe volte si santifica la produzione e si demonizza la vendita. La pubblicità è un fattore di sviluppo purché – avverte Contri – rispetti la dignità della persona».

Per Paolo Bafile, vice presidente del Consiglio nazionale degli utenti, domandarsi se la pubblicità sia utile è una domanda superflua: «È come chiedersi se l’acqua è utile per l’agricoltura. L’acqua è utile, un po’ meno lo sono le alluvioni. La pubblicità è in questo senso un grande mecenate dei media, ma troppo spesso diventa invasiva, onnipresente e di scarsa qualità, soprattutto in televisione. Ma non si può pensare di avere 24 ore su 24 una tv intelligente con una decina di emittenti nazionali e 600 tv locali. L’unica differenza tra l’intelligenza e la stupidità – chiosa Bafile – è che l’intelligenza ha dei limiti».

«Ci vogliono idee – ribadisce don Dario Edoardo Viganò, docente di Comunicazioni sociali alla Pontificia Università Lateranense –. Le idee sono oggi la cosa che costa di più e sulla quale si investe di meno. Eppure, unite alla professionalità porterebbero a risultati positivi, anche nella pubblicità».

Da una ricerca illustrata da Giulio Gallazzi, amministratore delegato di Socially Responsible Italia, è emerso, tra l’altro, che il 50% degli italiani sarebbe molto attento all’eticità del prodotto; un consumatore su due non compra prodotti dalle aziende che inquinano l’ambiente; l’80% approva l’impegno delle aziende in campo sociale e il 70% del pubblico ritiene che l’eticità, nella pubblicità, sia una componente determinante.

E i pubblicitari cosa ne pensano? Stefano Aquilante, direttore creativo Adv Activa, nota azienda milanese che ha curato tra le altre la campagna del Telefono azzurro, parla della passione positiva del professionista che si sforza di offrire spunti etici ad un pubblico che può essere molto distratto e assorbire qualsiasi messaggio, o diversamente essere attento e censore di quanto offende. L’attività del creativo sta nel difficile equilibrio di presentare il prodotto in maniera accattivante, divertente, ironica, senza scadere nella banalità e nella volgarità.

Al lettore o al telespettatore resta il difficile compito di vagliare, «leggere» e interpretare migliaia di pagine, di manifesti, di depliant e di spot radiofonici e televisivi che gli addetti ai lavori considerano ormai «30 secondi caricati al tritolo».