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La prolusione di Bagnasco al Consiglio permanente (26 gennaio 2015)
Cari Confratelli
All’inizio del nuovo anno civile il nostro filiale saluto va dunque al Santo Padre, al quale esprimiamo la più viva gratitudine per l’infaticabile impegno, e formuliamo l’augurio affettuoso di forza e luce per il suo ministero, rinnovando la vicinanza convinta e operosa alla sua persona e al suo magistero. Lo vogliamo anche ringraziare per aver onorato la nostra Conferenza con il dono di due nuovi Cardinali: l’Arcivescovo di Ancona-Osimo Mons. Edoardo Menichelli e l’Arcivescovo di Agrigento Mons. Francesco Montenegro, membro del Consiglio Permanente in qualità di Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni. A loro vanno le felicitazioni più vive dell’Episcopato italiano e di questo Consiglio.
Nessuno di noi pensa che l’Occidente sia esente da colpe vecchie e nuove, ma neppure si può negare che la cultura dei diritti fondamentali – sempre integrata a quella dei doveri – sia una conquista dell’umanità. Il Cristianesimo non può essere identificato con l’Occidente: il Vangelo è storico e metastorico, si incarna nelle culture, ma non coincide con nessuna cultura. Però è innegabile – anche se l’Europa l’ha negato per ideologia – che il lievito del Vangelo sta alla radice dell’umanesimo plenario, che ha alla base la dignità sacra di ogni uomo fatto ad immagine di Dio, Amore e Comunione. Per questa ragione non si può mai uccidere in nome di Dio: è una bestemmia contro l’uomo e contro il Creatore. Quanto è accaduto recentemente a Parigi ha suscitato giustamente l’indignazione del mondo: abbiamo pregato per le vittime e per la Francia. Abbiamo visto con compiacimento la grande marcia di protesta e di affermazione del diritto di espressione. Abbiamo visto uniti in prima fila molti capi di Stato e personalità significative. Ed abbiamo gioito. Però non abbiamo potuto non pensare anche alle migliaia di fratelli e sorelle perseguitati, straziati e uccisi perché cristiani o per motivi etnici. Abbiamo pensato che la libertà religiosa non è garantita nel 60% del pianeta e che, nelle minoranze, sono i cristiani quelli maggiormente perseguitati: “Ne muore uno ogni cinque minuti” (Rapporto 2014 sulla libertà religiosa di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, Fondazione di diritto pontificio). Avremmo voluto allora che anche la protesta per questo continuo genocidio, anche l’affermazione del diritto inalienabile alla libertà religiosa, fossero stati pubblicamente proclamati dal mondo lì rappresentato, specialmente dall’Occidente che si fa paladino dei diritti umani.
Anche a questo proposito, il Santo Padre ci ha offerto una importantissima chiave di lettura: “Abbiamo l’obbligo di dire apertamente (…) ma senza offendere. (…) non si può reagire violentemente”, ma “non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede (…). Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. E questo è un limite. (…) nella libertà di espressione ci sono limiti” (Papa Francesco, Conferenza stampa in volo verso Manila, 15.1.2015). In sostanza, sì alla libertà di espressione, no alla libertà di offendere: è un passo avanti per superare la dittatura del pensiero unico!
I libri dell’Istituto A.T. Beck, dal titolo accattivante “Educare alla diversità a scuola” e ispirati alla teoria del gender, sono veramente scomparsi dalle scuole italiane? Educare al rispetto di tutti è doveroso, e la scuola lo ha sempre fatto grazie al buon senso e alla retta coscienza dei docenti, ma qui siamo di fronte a un’altra cosa: si vuole colonizzare le menti dei bambini e dei ragazzi con una visione antropologica distorta e senza aver prima chiesto e ottenuto l’esplicita autorizzazione dei genitori. Non è inutile ricordare che – anche se la maggior parte dei genitori fosse d’accordo – chi non lo è ha il diritto di astenere i propri figli da quelle “lezioni” senza incorrere in nessuna forma, né esplicita né subdola, di ritorsione, come sta invece accadendo in qualche Stato vicino a noi. L’educazione della gioventù è talmente delicata e preziosa che non ammette ricatti o baratti di nessun tipo e in nessuna sede. Noi Vescovi su questo saremo sempre in prima linea a qualunque costo, così come sul fronte della giustizia, dei poveri e dello stato sociale, che portiamo avanti grazie anche all’otto per mille. Così come sul fronte della famiglia e della vita umana, che il Papa ha riaffermato nel grandioso incontro delle famiglie a Manila: “Siate santuari della vita, proclamando la sacralità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale” (Manila, 16.1.2015).
La crisi economica perdura anche se, in sede europea, vi sono segnali giudicati positivi e promettenti. Condividiamo le speranze di tutti, ma noi vediamo che la lama del disagio continua a tormentare moltissime famiglie che non arrivano da tempo alla fine del mese; anziani che attendono le loro magre pensioni mangiando pane e solitudine; giovani che hanno paura per il loro futuro incerto, e che bussano – non di rado sfiduciati – alle porte del lavoro; adulti che il lavoro lo hanno perso e che hanno famiglia da mantenere e impegni da onorare. Su tutto si staglia l’urgenza che, più di tutte, s’impone: il lavoro e l’occupazione. Con rispetto e forte convinzione, consapevoli del nostro dovere di Pastori, chiediamo ai responsabili della cosa pubblica di pensare a questo prima di ogni altra cosa, che – pur necessaria o opportuna – è sentita dalla gente come lontana dai suoi problemi quotidiani.
Non basta richiamare ad uno stile di vita più essenziale: questo ormai si è imposto giocoforza da tempo a chi ha sempre di meno e non ha sfiorato chi, invece, è sempre più ricco. La forbice si allarga pericolosamente anche per la tenuta sociale. Tutti sappiamo che il nostro Paese ha fatto molta strada e si è acquistato un posto di rilievo e di rispetto nel concerto delle Nazioni: chi lavora all’estero o chi deve girare il mondo per lavoro, testimonia che l’intuizione, la competenza tecnologica, la disponibilità generosa dei nostri lavoratori sono riconosciute ovunque. Si dice che è il sistema Paese che deve salire all’altezza degli italiani. Soprattutto, per attirare investimenti produttivi che creino nuovo lavoro.
Non basta neppure rincorrere i debiti – più o meno voraginosi – vendendo i gioielli di casa frutto dell’intelligenza e della capacità dei nostri padri, perché, poi, si resta con niente in mano – né strutture né professionalità – in balia di chi guarda all’Italia come ad una preda succulenta e ambita da spolpare. Alla fine di queste operazioni d’azzardo, si resta con pochi pezzi in mano, pezzi che – scollati gli uni dagli altri – diventeranno sempre più deboli, pronti per essere azzannati al momento opportuno da quanti non hanno certamente a cuore il bene del nostro Paese. Non saranno le garanzie scritte e firmate ad assicurare il nostro patrimonio industriale e lavorativo: si possono cambiare e disattendere in ogni momento! L’Europa deve stare attenta perché – nello scenario mondiale dei mercati e dei poteri – ciò che rischia oggi l’Italia, domani toccherà a lei.
A volte sembra che il “discredito” sia usato come un grimaldello per tali operazioni: il discredito delle nostre capacità, della laboriosità e dell’onestà. Più si scredita – sembra si ragioni – più il prezzo diminuisce e l’affare conviene. Di questo meccanismo autolesionista noi siamo campioni, a volte anche con esempi di corruzione che sono indegni per i protagonisti accertati e fanno male all’immagine del Paese.
È vero che dobbiamo coniugare la cultura dei diritti con la cultura dei doveri. Ed è vero che la cultura del lavoro è mutata: bisogna prenderne atto realisticamente. I nostri giovani e meno giovani – quest’anno più di ottantamila sono andati a lavorare all’estero – lo sanno bene! Ma bisogna fare estrema attenzione perché tutti siano accompagnati e sostenuti in quello che è necessario per non perdere la dignità: sentirsi inutili, perché non si ha un lavoro, deprime e destabilizza i singoli e la società.
Se la politica ha determinanti responsabilità per facilitare lo sviluppo e la creazione di lavoro, entrare in politica, però, non è l’unica via per perseguire il bene comune. La prima via è per tutti: fare con onestà, sacrificio e competenza il proprio dovere di lavoratore e di cittadino. E ci sono anche altre strade, ad esempio investire i propri onesti capitali: i denari ci sono, e non pochi, ma gli investimenti sono scarsi. Non si tratta di fare degli oboli a nessuno, ma di mettere in gioco se stessi e qualcos’altro, avendo le doverose garanzie di serietà, correttezza e celerità dei pubblici poteri. Esiste l’onestà dei singoli e delle aziende, ma esiste altresì l’onestà dello Stato e della burocrazia, come di ogni altro legittimo potere, che non deve affermare se stesso, ma unicamente la giustizia.
Il Paese non deve cedere alla sfiducia. Il popolo degli onesti – che è un grande popolo – non deve lasciarsi demoralizzare. Mai! Neppure dai cattivi esempi di malaffare e di corruzione. A questo proposito, la Conferenza Episcopale della Calabria ha recentemente pubblicato una Nota Pastorale – “Testimoniare la verità del Vangelo” – sulla malavita organizzata: siamo grati e solidali con loro anche in questa sfida che continua ad annidarsi nel tessuto sociale del Paese. I fenomeni di corruzione sono da deprecare e, se accertati, sono da perseguire con rigore, ma non devono deprimere né suggestionare, come se i corrotti fossero i furbi e gli onesti fossero una massa di illusi. Alla disonestà dobbiamo reagire con una onestà più fiera, una professionalità più convinta, una laboriosità più generosa. È questo il modo più costruttivo per reagire al male: con un bene più grande.
Così pure vogliamo rivolgere il pensiero ancora a tanti fratelli e sorelle che soffrono e muoiono perché sono cristiani: sono di tutte le condizioni ed età. Anche giovanissimi! Sembra, a volte, che la ragione si sia spenta! Siamo al loro fianco con la nostra preghiera, sia personale che nelle nostre diocesi, ma anche salendo evangelicamente sui tetti per testimoniare la gioia del Vangelo. Lasciamo che il sangue dei martiri arrivi fino a noi, da qualunque regione del pianeta parta; lasciamo che ci bagni, che irrori i nostri cuori, che riscaldi le nostre anime d’amore per Gesù e la Chiesa. Lasciamoci santamente umiliare da questo sangue che continua a parlare di Cristo. Esso sale dalla terra al cielo: dal cielo scenda su di noi, ci purifichi e ci rafforzi nella missione ricevuta.
Vi ringrazio per la vostra fraterna attenzione: le mie parole, altrettanto fraterne, desiderano solo introdurre i lavori di questi giorni, che affidiamo alla luce dello Spirito e alla maternità di Maria, grande Madre di Dio e della Chiesa.