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La prolusione del card. Bagnasco al Consiglio permanente (23 marzo 2015)
Cari Confratelli.
Sì, è un grande dono, e come tale non vogliamo sprecarne neppure un poco, sapendo bene che solamente se volgiamo i nostri occhi al Volto della bellezza, anche noi potremo non solo risplendere della Luce di Cristo, ma altresì illuminare gli altri con la Sua luce, che è verità liberante e salvatrice. E’ questo, infatti, il secondo scopo dell’Anno Santo: «Una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia» (id). Cristo è il volto della misericordia del Padre – ricorda il Papa – poiché rende il cuore di Dio vicino, prossimo alla miseria umana, all’umanità povera e umiliata perché affaticata dall’antico peccato e dai peccati personali: è segnata dal «malum mundi» e dai «mala mundi». Icona evangelica della misericordia di Dio è la parabola del buon Samaritano, nella quale Gesù non solo annuncia l’azione misericordiosa del Padre, ma ne esplicita i diversi sentimenti e i gesti coerenti.
Ne risulta un quadro tratteggiato con alcune pennellate essenziali, come le cinque vie del prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze ispirate all’Evangelii gaudium (cfr n. 24). L’esperienza della misericordia divina ci fa «uscire», ci fa prendere il largo sulle strade degli altri. Nessun luogo è talmente lontano o chiuso da essere inaccessibile al Dio misericordioso e pietoso, grande nell’amore. E poi bisogna «annunciare»: anche il samaritano ha annunciato a suo modo la novità di Cristo: lo ha fatto attraverso dei gesti che parlano e dicono che Dio è presente. Con l’uscire e l’annunciare si può rimanere ancora esterni alla miseria umana: è necessario anche «abitarla». Appunto come il Samaritano, che è entrato nella sciagura del malcapitato, nella sua paura e nella sua umiliazione: ha accettato di rallentare il proprio passo, di ritardare la marcia per abitare il bisogno altrui versandovi olio e vino. In questo modo ha svolto anche un’opera «educativa». Come? Con il suo farsi prossimo ha immesso nel mondo il germe di una rivoluzione; ha posto in questione una visione che toccava non solo il levita di passaggio; ha gettato il guanto della sfida a una cultura individualista. Ha detto «no» a una visione che scarta il debole e lo abbandona al suo destino. E così ha iniziato quella «trasfigurazione» della realtà che si compirà in Cristo, il vero, grande Samaritano dell’umanità: con quel gesto ha preso corpo sulla terra il sogno di una umanità nuova e bella che sarà possibile grazie all’irruzione dello Spirito.
Sull’Evangelii gaudium – sulle considerazioni e le direttrici che traccia – si concentrerà l’attenzione dell’Episcopato italiano nella prossima Assemblea Generale di maggio: ci chiederemo quanto la ricca Esortazione apostolica sia entrata nella mente e nei cuori dei credenti, e sia diventata criterio di vita spirituale e di pastorale. Nelle Conferenze Episcopali delle nostre Regioni a questo ci stiamo preparando, facendo anche un’attenta riflessione sui Lineamenta in vista del Sinodo Ordinario dei Vescovi sulla famiglia, che si celebrerà nel prossimo ottobre.
Insieme al nostro Clero, rinnoviamo alle persone consacrate la nostra paterna stima e gratitudine: con le nostre comunità vogliamo vivere accanto a loro e con loro questo speciale Anno che il Santo Padre ha dedicato al grande carisma della radicale consacrazione a Dio e alla Chiesa.
La religione non può mai essere impugnata per uccidere o fare violenza: invocare il nome di Dio per tagliare le gole è una bestemmia che grida al cospetto del cielo e della terra. I cristiani copti, uccisi anch’essi in modo spettacolare, ci hanno ricordato il cuore del Vangelo, il vero volto del Cristianesimo. Con il cuore in ginocchio, riascoltiamo la testimonianza del fratello di due giovani martirizzati dai fondamentalisti: nostra madre «è una donna senza istruzione, con più di sessant’anni. Le ho chiesto cosa farebbe se vedesse uno dell’Isis passare per la strada e le dicessero che quello è l’uomo che ha sgozzato i suoi figli. Ha detto: chiederei a Dio di aprirgli gli occhi e gli chiederei di venire a casa nostra perché ci ha aiutati ad entrare nel Regno di Dio»! «Poiché siamo cristiani, diciamo: noi vi amiamo», così l’Arcivescovo di Mosul, Mons. Amel Shamon Nona, che ha aggiunto: «In Oriente, quando c’è il male, crediamo che là Dio c’è di più»! Il mondo ha il dovere della giustizia e della sicurezza per tutti, ma il cristiano ha nel cuore anche il perdono quando l’ingiustizia tocca la sua carne. Non sarà di certo una macabra bandiera nera issata al posto di un crocifisso divelto che potrà uccidere l’amore di Cristo: esso è ben piantato nel cuore dei suoi discepoli.
Noi Vescovi del Consiglio Permanente domani faremo un momento particolare di preghiera proprio per i martiri, missionari e laici, di questi tempi: a tutti loro vogliamo far sentire la vicinanza dell’amore nostro e delle nostre comunità, nonché la commossa gratitudine per l’esempio di intrepida fede. Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani!
Mentre resta urgente la responsabilità di assicurare i diritti della libertà religiosa nel mondo, ancora una volta esortiamo l’Europa a un serio esame di coscienza sul fenomeno di occidentali che si arruolano negli squadroni della morte. Non si può liquidare la questione sul piano sociologico incolpando la mancanza di lavoro nei vari Paesi: ciò può essere una concausa. Il problema è innanzitutto di ordine culturale: non si può svuotare una cultura dei propri valori spirituali, morali, antropologici senza che si espongano i cittadini a suggestioni turpi. In questo senso, la cultura occidentale è minacciata da se stessa e favorisce il totalitarismo.
In questo orizzonte, torniamo a far eco alle parole del Santo Padre Francesco a Napoli: parole di altissima condanna del malcostume e del malaffare che sembrano diventati un «regime» talmente ramificato da essere intoccabile. Esempi ne emergono ogni giorno: come corpi in stato di corruzione, ammorbano l’aria che si respira, avvelenano la speranza e indeboliscono le forze morali. È un destino fatale? Si può reagire? Senza dubbi, diciamo che si deve reagire e che ciò è possibile. Tutti siamo interessati al bene comune, e tutti ne siamo responsabili con i nostri comportamenti. Naturalmente ognuno a livelli e con modalità diverse: politica e magistratura, industria e finanza, impresa e sindacati, associazioni e media, volontariato, gruppi e singoli cittadini. Ogni soggetto ha il dovere di fare del proprio meglio per il bene della gente che è in gravi difficoltà e che spesso è stremata: se l’onestà è un valore sempre e comunque, che misura la dignità delle persone e delle istituzioni, oggi, le difficoltà di quanti si trovano a lottare per sopravvivere insieme alla propria famiglia… sono un ulteriore motivo perché la disonestà non solo non sia danno comune, ma anche non sia offesa gravissima per i poveri e gli onesti. Ciò è insopportabile! La Chiesa è vicina a ogni persona di buona volontà senza preclusioni o preferenze: persone e istituzioni che hanno veramente a cuore il bene della gente e che lavorano per questo. Come ricorda il Santo Padre, «la buona politica è una delle espressioni più alte della carità, del servizio, dell’amore» (Papa Francesco, Discorso a Scampia, 21.3.2015).
Come Pastori, diamo voce alla gente e, purtroppo, quella voce incalza le nostre parrocchie e diventa grido: invoca lavoro per chi l’ha perso e per chi non l’ha mai trovato. Invoca lavoro per chi è sfiduciato e si arrende mettendosi ai margini della società, facile preda della malavita. E con la disoccupazione, l’instabilità sociale cresce fatalmente: «Con la mancanza di lavoro viene a mancare la dignità, e la persona rischia di cedere ad ogni sfruttamento» (id). La Chiesa in Italia, a livello centrale, porta avanti da anni il Progetto Policoro e il Prestito della speranza: sono anche questi dei segni concreti che vengono incontro ai giovani, alle famiglie e alle piccole imprese. Tutti sappiamo che non basta ripianare i buchi, ma occorre investire perché la competizione globale esige di essere sempre all’avanguardia; perché le nostre eccellenze devono essere difese con una continua ricerca; perché le professionalità non deperiscano; perché il patrimonio nazionale non prenda il volo per altri lidi, vanificando così i segnali positivi di ripresa che vengono rilevati dagli esperti.
Continua la tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore; fuggono dai loro Paesi per le ragioni che conosciamo: guerre, carestia, miseria, violenza. E cosa trovano? Molto, ma certamente ancora insufficiente al fine di una vera integrazione e di una vita nuova. Le forze in campo non sono poche, ma la situazione richiede visione, energie e risorse, che attestino che l’Europa esiste come casa comune e non come un insieme di interessi individuali ancorché nazionali. Un coacervo dove chi è più forte fa lezione e detta legge. La Chiesa, attraverso le Caritas e i Centri Migrantes, le parrocchie e le associazioni specifiche, risponde con ogni mezzo, anche grazie all’otto per mille, e mira a un processo di vera integrazione nel rispetto delle comunità di accoglienza e dei cittadini.
Accennando a quella «comunità di fede e di carità reciproca» che è Caritas Italiana, come lui la definiva, il nostro ricordo grato va a Mons. Giuseppe Pasini, di cui domattina a Padova si celebrano i funerali: possa ricevere la ricompensa che spetta al «servo buono e fedele». Mons. Pasini ha operato per 24 anni in modo significativo all’interno di Caritas Italiana, che ha diretto dal 1986 al 1996, accompagnandone e orientandone il cammino fin dal suo primo avvio, accanto a Mons. Giovanni Nervo.
L’attenzione al mondo della cultura e della scuola – compresa la formazione professionale – è promettente: è in gioco la libertà di educazione dei genitori per i loro figli. Non è una cortesia concessa a qualcuno, ma è un diritto dei genitori: diritto fondamentale che – unico caso in Europa – in Italia è stato affermato a parole, ma negato nei fatti da troppo tempo. A proposito di cultura, non possiamo non dar voce anche alla preoccupazione di moltissimi genitori, e non solo, per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del «gender», «sbaglio della mente umana», come ha detto il Papa a Napoli sabato scorso. Il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione… ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un «transumano» in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità. La categoria «Queer Theory», nata negli Stati Uniti, combatte contro il normale, il legittimo, e ingloba tutte le soggettività fluide: non si riferisce a nulla in particolare, si presenta paradossalmente come «un’identità senza essenza». Sembra di parlare di cose astratte e lontane, mentre invece sono vicinissime e concrete: costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole. Una manipolazione da laboratorio, dove inventori e manipolatori fanno parte di quella «governance mondiale» che va oltre i governi eletti, e che spesso rimanda ad Organizzazioni non governative che, come tali, non esprimono nessuna volontà popolare! Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate, volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa? Reagire è doveroso e possibile, basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva, della ragione dal sonno indotto a cui è stata via via costretta. Sappiate, genitori, che noi Pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini.