La richiesta all’amministrazione comunale, da parte della popolazione islamica residente ad Arezzo, dell’assegnazione di un’area riservata alla tumulazione di persone della loro religione è di per sé legittima e indiscutibile. Essa è da configurare all’interno della libertà di religione e di culto più volte riaffermata dalla Chiesa Cattolica e sancita dall’ordinamento civile.Per i cristiani, il confronto, la collaborazione e il dialogo fra le diverse confessioni religiose costituiscono un impegno nel quale il magistero della Chiesa e, da ultimo, l’insegnamento del Concilio Vaticano II scorgono l’occasione preziosa per offrire una «testimonianza alla fede e alla vita cristiana» e favorire il progresso dei valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi (dal decreto conciliare Nostra aetate).Sul tema specifico delle sepolture, è evidente che le modalità e la ritualità che accompagnano questa vicenda umana, i segni che si vogliono presenti sulle tombe, il ripetersi delle visite dei familiari e degli amici fanno sì che nei cimiteri si svolgano riti religiosi il cui intimo legame con il senso della vita, della morte, dell’aldilà toccano nel profondo i credenti di ogni confessione.La più recente normativa, pur ribadendo il carattere laico del cimitero nel suo complesso, ha introdotto la possibilità di destinare al suo interno spazi di sepoltura riservati ai credenti di confessioni religiose minoritarie, nel rispetto delle norme essenziali di polizia funeraria.Tali pratiche, evidentemente, intendono soddisfare le esigenze derivate, in questo come altri ambiti della vita sociale, dal fenomeno della globalizzazione e dei flussi migratori che nei Paesi occidentali generano contesti multietnici e multiculturali. Si tratta di processi che non di rado disorientano e preoccupano le popolazioni interessate, legittimamente timorose di perdere i tratti distintivi della propria identità o di dovervi abdicare in nome del rispetto delle sensibilità e delle convinzioni altrui.La Chiesa ha in più occasioni ribadito la propria stima verso i «musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra», esortando i cristiani e i credenti islamici «a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (dal decreto conciliare Nostra aetate).Stima e comprensione reciproche devono guidare anche le scelte presenti, le quali, se intendono realmente favorire l’amicizia e l’integrazione fra i popoli, non possono prescindere da decisioni improntate al rispetto dell’identità della comunità cristiana.Sul caso di Arezzo, la diocesi sta seguendo con interesse la vicenda che ha avuto una vasta eco. Non è compito della Chiesa locale indicare soluzioni concrete che, invece, sono di competenza della pubblica amministrazione. E’, comunque, essenziale che, di fronte a qualunque proposta venga scelta, siano le istituzioni ad assumersi responsabilità precise tenendo in giusta considerazione le radici cristiane di una terra come quella aretina e la sensibilità delle popolazioni locali su cui ricadono le deliberazioni politiche. Per evitare incomprensioni, tuttavia, la via da seguire è quella del confronto aperto fra eletti ed elettori soprattutto quando si tratta di questioni che investono il comune sentire e le tradizioni religiose.La diocesi ha fatto dell’accoglienza di coloro che vivono in situazioni di difficoltà o arrivano da terre lontane un ambito privilegiato della testimonianza cristiana e vede nel dialogo reciproco un’occasione sulla quale misurare la fede nel Signore Risorto.L’ufficio stampadella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro