Cultura & Società
La Pira, Pio XII, Giovanni XXIII e quel «perfidis» di troppo
di Ettore Bernabei
E’ stato più volte constatato e detto che molti santi, con la loro coerenza al Vangelo, hanno cambiato il corso della storia umana. Fra gli esempi più citati San Benedetto, San Francesco, Don Bosco. Un episodio di questa straordinaria potenza dei santi fu avviato proprio a Firenze da don Facibeni nel 1943, continuato da La Pira e concluso a Roma da Giovanni XXIII.
Quando in Italia le persecuzioni razziali si fecero più aspre don Facibeni ospitò nelle case dell’Opera molti giovani ebrei; durante l’occupazione tedesca ne vestì da seminarista qualcuno dei più esposti. Fra questi salvò dalla deportazione Alessandro Goldwin che, finita la guerra, si trasferì negli Stati Uniti.
Nel 1957 venne da New York a Firenze a trovare il sindaco La Pira il giovane Jan Golan, assistente del sig. Goldmann, presidente del Consiglio mondiale delle Comunità Ebraiche, promotore del movimento sionista e grande supporter del nuovo Stato di Israele, Jan Golan, raccontò a la Pira che il sig. Goldmann aveva saputo dal giovane Alessandro Goldwin diventato negli Stati Uniti fotografo molto apprezzato come don Facibeni lo avesse salvato a Firenze dalle persecuzioni naziste e come don Facibeni lo fece incontrare assieme ad altri giovani come lui vestiti da seminarista cattolico con un certo prof. La Pira, presidente della Conferenza di San Vincenzo de Paoli dicendo: «Ragazzi molti giorni noi mangiamo con i viveri che ci manda questo professore».
Ora riprese Jan Golan il sig. Goldmann mi manda da lei perché ci aiuti a togliere una pietra di inciampo sulla strada dei buoni rapporti tra cattolici ed ebrei. Lei che è tanto stimato in Vaticano dovrebbe convincere il Papa a togliere dalle preghiere della liturgia del Venerdì Santo la espressione «pro perfidis iudeis» che sta a ricordare una sorta di imputazione di deicidio a tutti noi.
La Pira che aveva molto senso pratico indirizzò il giovane Golan al gesuita padre Bea, teologo della Università Gregoriana e confessore del Papa Pio XII. Padre Bea studiò a fondo la secolare questione e preparò un fascicolo di valutazioni favorevoli alla eliminazione della espressione «perfidis».
Con molta probabilità Pio XII esaminò il fascicolo a Castel Gandolfo nel mese di agosto del 1958, (poche settimane prima della sua morte) scrivendo di suo pugno sulla copertina: «Al mio successore con parere favorevole».
Giovanni XXIII suo successore, nella celebrazione liturgica in San Pietro del Venerdì Santo del 1959, interruppe la recitazione in latino delle preghiere di intercessione esclamando in italiano: «Ed ora preghiamo per i fratelli ebrei». Dopo il clamore delle polemiche che seguirono, Giovanni XXIII all’inizio del 1963 propose al Concilio la contestata modifica, che però non ottenne la maggioranza.
La Pira allora continuando a seguire la vicenda da dietro le quinte suggerì a Jan Golan di chiedere all’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini di riproporre la questione in Concilio. Giovanni Battista Montini nel 1964, diventato Paolo VI, fece approvare dal Concilio il nuovo testo della preghiera «pro iudeis».
Se i Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI dopo aver stabilito rapporti diplomatici tra lo Stato del Vaticano e lo Stato di Israele sono potuti andare a Gerusalemme e nei Luoghi Santi lo si deve anche a don Facibeni che accolse tra i suoi seminaristi il piccolo ebreo Alessandro Goldwin.