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La piccola Diana, abbandonata dalla mamma: pensiamola nelle braccia di Dio madre

«Come bimbo svezzato in braccio a sua madre». La Scrittura, quando vuole rappresentare il massimo della cura e della tenerezza, fa ricorso all’immagine della madre. Anche i padri, si sa, sono importanti, lo vediamo bene in quest’epoca storica in cui i sociologi ne lamentano l’assenza. Ma la mamma è colei che dona e protegge la vita. L’amore materno è unico, speciale.Eppure il male, in una delle sue tante forme, può entrare anche nel cuore di una madre. Ce lo ha mostrato in modo tragico la vicenda di Diana, la piccola morta di stenti, uccisa dalla fame e dalla sete dopo esser stata abbandonata per una settimana nella sua casa di Milano.L’abbandono dei bambini è una cosa antica. Lo sappiamo bene in Toscana, dove a Firenze è nato seicento anni fa l’istituto degli Innocenti, il primo luogo istituzionalmente dedicato ad accogliere i neonati che le madri – per miseria, colpa, condizionamenti sociali, familiari, culturali – non potevano tenere. Anche l’accoglienza dei bambini abbandonati, quindi, è cosa antica. E se qualcuno avesse potuto sentire il pianto della piccola Diana, sicuramente l’avrebbe soccorsa. Adesso sarà la magistratura a stabilire i motivi di questo atto, a misurarne la gravità. Solo a Dio invece spetta il compito di indagare la coscienza di questa donna, vedere se c’è ancora dell’umanità in lei, se c’è una possibilità di espiazione, di riscatto.Un Papa morto troppo presto, in un angelus di 44 anni fa, ci ha insegnato che «Dio è papà, più ancora è madre». E il profeta Isaia, in un cantico di consolazione, riporta le parole del Signore: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai». Pensiamola così Diana, nelle braccia di un Dio madre, finalmente amata.