Cultura & Società
La Pasqua nei proverbi
Quest’anno la Pasqua cade il 21 d’aprile, una Pasqua che un tempo tutti chiamavano Pasqua alta, vale a dire tardiva rispetto al corso consueto dell’anno solare. Infatti è la principale festa mobile, ossia, come quella ebraica, segue il ciclo lunare e non quello solare e celebra la Resurrezione di Cristo la domenica dopo il plenilunio di primavera. Come Natale è il perno delle feste fisse, radicato in fenomeni solari, Pasqua è quello delle feste mobili che armonizza i fenomeni naturali della vegetazione.
La Pasqua è bassa fino al 31 marzomedia, entro la prima metà d’aprile (essendo centrale quella che cade l’8 d’aprile); alta se cade oltre tale termine: dal 16 al 25 aprile. Pochi ormai sanno queste cose, pur essendo roba elementare, e per tutta la quaresima si è continuato a sentire gente lamentarsi che ormai non c’è più la primavera, che le stagioni non sono più quelle, che il raffreddamento globale… che il buco dell’ozono… che l’inquinamento… Tutte cose sacrosante, ma il fatto è che la luna ha sempre fatto il suo mestiere e finché non arriva la lunazione dopo l’equinozio di primavera, non si riscalda il clima, non si muove la vegetazione, c’è pericolo di gelate improvvise e rigide, insomma tutto è in ritardo. I proverbi insegnano:
Con l’industrializzazione l’uomo si estranea dalla natura fino a non vederla più, a vivere senza accorgersi d’essere in un ambiente in perpetua trasformazione ciclica, un mondo vivo, animato da presenze e anche da assenze, da apparizioni e scomparse per cui, pensando di vivere in un universo meccanico, perde la sensazione del reale, che è quella di un organismo vivo, coerente in tutte le sue parti e mai uguale giorno per giorno.
La luna è come una grande regina col manto immenso come lo spazio del suo corso, che trascina in questa realtà tutti i fenomeni, piccoli e grandi, evidenti e nascosti, celesti, terrestri, marini perché le sue mani infinite muovono la vita fino negli antri dei monti e degli oceani.
Quest’anno ad esempio le gemme sui rami sono apparse molto tardi e basta avere una terrazza per vedere che i bocci dei fiori sono ingrossati più tardi di altri anni. I merli e altri uccelli che si possono sentir cantare già a gennaio, hanno cominciato più tardi a cinguettare, quindi ad amoreggiare e fare il nido. I rospi e le rane hanno dormito più a lungo e, a meno che non si tratti d’un ambiente molto riparato e soleggiato, era inutile cercarli per buona parte di marzo. Le serpi, che in giornate miti, o calde, fanno qualche capatina sulle piagge soleggiate dei boschi dopo l’equinozio, quest’anno sono state chiotte nei loro buchi fino ad aprile inoltrato. Lo stesso hanno fatto le lucertole e così si può dire delle api, che anche in pieno inverno lascino per breve tempo l’arnia per purificarsi.
Tutto questo l’uomo un tempo lo percepiva quotidianamente e l’aveva fissato in proverbi cardini che gli dicevano in che punto dell’anno si trovava e lo avvertivano delle mutazioni naturali indicando la concomitanza dei fenomeni.
Alta o bassa è freddo fino a Pasqua.
Spiega il Giusti: «Non è forse tanto vano quell’oroscopo dei contadini i quali sogliono per esempio dire: Quest’anno il marzo sarà freddo perché la Pasqua è alta, cioè viene tardi in aprile; ovvero sperano la primavera precoce perché la Pasqua è bassa».
Non si vede la Pasqua né dopo San Marco né prima di San Benedetto.
La Pasqua non può cadere né prima di San Benedetto che un tempo cadeva il 21 di marzo, né dopo San Marco, 25 aprile. Ciò accade per l’oscillazione del plenilunio di Primavera e il relativo regolarsi delle settimane.
Pasqua venga alta o venga bassa vien con la foglia e con la frasca.
Quando viene Pasqua le piante sono già in vegetazione.
Se la Pasqua viene tardi la vegetazione si muove con ritardo rispetto agli anni nei quali la Pasqua è precoce.
Determinazione della Pasqua
Più complessa è la determinazione astronomica della festa. Anche in questo caso l’innocente ignoranza fa dire sempre più spesso: – Ma cosa ci fanno gli gnomoni, le meridiane, gli osservatori solari nelle grandi cattedrali come di Santa Marisa del Fiore a Firenze o di Santa Maria degli Angeli a Roma e in tanti altri templi?
Sfugge ormai che la liturgia è organizzata in una grande struttura rappresentativa e simbolica che si chiama anno liturgico. Questa cattedrale spirituale è radicata nel tempo della vita del mondo, dei fenomeni celesti e terrestri e assolve al compito di collegare la realtà umana ad altre realtà: il moto degli astri, la vita della terra, delle piante, degli animali, l’avvicendamento delle stagioni e da qui, con simbologie e analogie, alla realtà superiore del mistero della Redenzione, vita spirituale che risorge come quelle naturale. Tutto questo, oltre ad essere un percorso spirituale di meditazione e di preghiera, salva l’uomo dall’estraniamento dal mondo e lo mette in sintonia con tutte le cose del creato.
Non a caso il Natale si situa nel momento di crescita della luce del sole, mentre la Passione e la Resurrezione si collocano nell’uscita delle creature vegetali dal buio della terra, nell’apertura delle foglie, nell’esplosione dei fiori, nel ritorno dei riti vitali negli animali, all’apertura dei cieli dal plumbeo velo invernale.
Di conseguenza il Cristianesimo, come tutte le religioni, ha avuto sempre bisogno di un’estrema precisione nel determinare le feste che non si possono celebrare con l’approssimazione, per questo i luoghi di devozione ospitano sovente congegni di misurazione del tempo.
Oggi le feste religiose scompaiono da calendari, agende, prontuari, cacciate dalla globalizzazione: un’agenda in inglese senza feste religiose si vende in tutto il mondo; diversamente il mercato si restringe. Con queste omologazioni ci si avvia festosamente verso l’uniformità del formicaio.
Un tempo il problema era sentito soprattutto in quei luoghi remoti, isolati, in zone deserte che per mancanza di viabilità oppure per ghiaccio, neve, intemperie, l’inverno tagliava fuori dal mondo. Allora si ricorreva ad espedienti che hanno dato luogo a divertenti storielle, che sono però il documento della misurazione pratica del tempo nei secoli passati.
I parroci di zone isolate per fissare il calendario e le feste pasquali ricorrevano al numero delle fascine che bruciavano nel forno nei turni del pane, oppure alle fave, ai ceci, ai fagioli che travasavano dai recipienti.
C’era un tempo un prete che, per il vizietto che aveva d’alzare il gomito, era stato confinato nella parrocchia più remota della montagna, dove tirava a campare come poteva, senza dimenticare di fare regolarmente buone provviste di vino. Per questo lo chiamavano don Beo.
Questi rifornimenti li faceva soprattutto all’inizio dell’inverno, prima che con la neve si bloccassero le strade strette e ripide e il paesetto rimanesse isolato per mesi, senza che si potesse scendere a valle per le consuete faccende.
All’inizio della Quaresima don Beo scendeva in cantina e infiascava il vino, disponendo poi sopra un’asse tutto il fabbisogno di vino fino alla Pasqua, sistemando una lunga fila di sei fiaschi, uno per ogni giorno feriale, e una damigianetta per la domenica, altri sei fiaschi per i giorni feriali e una damigianetta… in modo che ci fossero sei belle damigianette tra file di fiaschi come caporali tra i soldati.
Don Beo in questo modo non si sbagliava e, ogni volta che scendeva a prendere il fiasco giornaliero, con un’occhiata alla fila del suo reggimento, sapeva quanto mancava a Pasqua.
Ormai ci aveva preso così bene la mano a questo suo calendario che chiamava le damigianette: prima, seconda, terza… domenica di Quaresima, fino alla Domenica delle Palme, che era l’ultima.
Il sacrestano teneva ordine nei locali della canonica e scendeva spesso nella cantina per pulire, sistemare e curare in modo opportuno il vino.
Una sera, durante una di queste visite, l’ometto pensò d’assaggiare un po’ il vino, per controllare se si conservasse senza difetti. Lo assaggiò con coscienza e scrupolo, al punto da risentirne qualche effetto a causa di quello zelo per cui non aveva badato a ripetere l’assaggio, finché non fu certo del fatto suo, convinto che tutto andava bene e don Beo poteva stare tranquillo.
Nel sistemare un nuovo fiasco pieno al posto di quello che aveva messo tra i vuoti, s’aggrappò al calendario del parroco facendolo rovinare in parte per terra.
Qualche fiasco si ruppe e il sacrestano si dette da fare a far sparire i cocci; poi prese altri fiaschi, altre bottiglie e rimise tutto in ordine, ma sbagliò. Infatti reintegrò il calendario mettendoci in più un paio di settimane che ormai erano già trascorse. Poi, con qualche altro assaggio, fece confusione e portò la quaresima a quasi il doppio dei giorni canonici.
Don Beo non se ne accorse: scendeva in cantina con la candela e, vedendo che la fila era sempre lunga, non si curava di contare le damigianette.
Quando si arrivò alla Domenica delle Palme i fedeli arrivarono in chiesa con i rami d’olivo per la benedizione: ma quello non se ne dette per inteso. Dopo una discussione sul sagrato scese in cantina a verificare e, quando tornò, disse deciso:
– Il fiasco parla chiaro e la damigiana non inganna: se bevo oggi la quarta di Quaresima, a Pasqua mancano altre due settimane… perlomeno.
I fedeli si convinsero e la Quaresima si prolungò fino ai primi di maggio, quando don Beo annunciò con gioia:
– Coraggio fratelli, altri sei fiaschi e siamo a Pasqua!
Di lì a qualche giorno un confratello, capitato in visita a don Beo, seppe che stavano aspettando ancora la Pasqua, che il resto del mondo aveva già festeggiato da un pezzo.
– Aspettate ancora un po’ e fate Pasqua e Pentecoste insieme, disse ridendo il prete.
Don Beo lo portò a vedere il suo calendario, non riuscendo a capacitarsi di come si fosse potuto sbagliare con un simile pallottoliere. Alla fine si dovette convincere.
Fu fatta una Settimana Santa abbreviata. Con un bel sole, la domenica seguente, fu recuperato il rimanente del tempo perduto. Furono benedetti i rami d’olivo, fu celebrata la Pasqua con grande solennità e, con una bella predica don Beo rimise tutte le cose a posto, lasciando i fedeli un po’ frastornati. Ma l’errore del calendario rimase un segreto del sacrestano.
Usanze pasquali
Si usa chiamare Pasque le feste dell’anno particolarmente solenni: Pasqua di Natività o di Ceppo, Pasqua Epifania, Pasqua di Resurrezione o d’uova, Pasqua di Fiori (la Domenica delle Palme detta anche Pasqua fiorita o Pascha competentium), Pasqua di Rose o Pasqua di Maggio (Pentecoste), Pasqua chiusa (I domenica dopo la Pasqua di Resurrezione).
I contadini si fanno i vestiti per necessità, quando è freddo; i signori per farsi vedere e ammirare nella grande processione e poi nelle cerimonie della Pasqua, le spose per sposarsi con la buona stagione.
Una superstizione riguardava un tempo la Pasqua più alta possibile ed era che in quel caso ci sarebbero stati malanni, calamità, sconvolgimenti.
Quando Marco (25 aprile) darà la Pasqua ci sarà un grande sconquasso nel mondo. Una lapide del XVI secolo, posta ad Oberemmel dice: «Quando Marcus Pascha dabit / et Antonius Pentecostem celebrabit, / et Joannes Christum adorabit / totus mundus Vae! clamabit!». Quando Pasqua cadrà il 25 aprile, la Pentecoste il 13 giugno, (festa di S. Antonio da Padova) il Corpus Domini (che cadeva il giovedì dopo la domenica della SS. Trinità, ossia dodici giorni dopo la Pentecoste) si sovrapporrà alla festa di S. Giovanni (24 giugno), tutto il mondo chiamerà aiuto.
Le minacce sono gravi ma, dato il grado di sconquasso in cui è ridotto ora il mondo, probabilmente ce ne accorgeremo appena.