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La pace condizione essenziale per lo sviluppo globale
Siamo donne e uomini che credono in Gesù Cristo. Siamo donne e uomini che credono nel valore universale e sacro della vita umana, nella inviolabilità della sua dignità e nella necessità che questa sia garantita ad ogni persona umana in ogni parte del mondo.
In quanto parte della universale famiglia umana, ci sentiamo cittadini che a tutti gli effetti intendono partecipare responsabilmente alla vita della comunità a cui appartengono, in modo particolare nei tempi odierni in cui, con la globalizzazione, l’interdipendenza fra le diverse aree del pianeta diventa sempre più consistente e con essa cresce la corresponsabilità.
Condividiamo con ogni altro abitante della terra la difficoltà di questa responsabilità, nel momento in cui, nonostante il progresso scientifico e tecnico, le disuguaglianze e la violazione della dignità della vita sono particolarmente vive e pesano su milioni di persone. Per dare risposte autentiche a queste urgenze crediamo necessaria la verità del Vangelo, che è messaggio di liberazione integrale dell’uomo, in grado di superare i suoi limiti materiali e la sua apparente solitudine.
Con questo spirito vogliamo collaborare e dialogare con tutte le donne e gli uomini di buona volontà per costruire la pace: la pace fondata sulla dignità della persona umana che esige il diritto all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla libertà religiosa, al rispetto delle proprie tradizioni e culture, ad un lavoro dignitoso. Crediamo che costruire la civiltà dell’amore significhi concretamente anche lavorare per elaborare e diffondere regole in grado di orientare le azioni dei membri della comunità in questa direzione.
Apparteniamo a realtà laicali che hanno vocazioni e specificità diverse all’interno della chiesa e della società italiana. Ma tutte, pur con le naturali diversità, vogliamo condividere un cammino di responsabilità educativa e sociale per offrire il nostro contributo nel rendere la globalizzazione uno strumento a servizio della promozione dell’uomo anziché della sua mortificazione. Siamo coscienti che per farlo occorra arricchimento spirituale, fatica di approfondimento e ricerca di dialogo. Per questo vogliamo caratterizzare il nostro cammino nell’impegno per umanizzare le strutture economiche e sociali a partire dalla nostra vita.
Gli attuali squilibri del mondo sono sotto gli occhi di tutti. Da una parte un aumento della distanza tra ricchi e poveri, con oltre un miliardo di persone che vive al di sotto della soglia di povertà assoluta, concentrata prevalentemente nel Sud del mondo. Dall’altra la ricerca affannosa del benessere economico, non inserito in una corretta scala di valori, ha generato stili di vita che mettono a serio rischio la stabilità ambientale del pianeta. Costruire giustizia significa non solo redistribuire, ma mettere l’uomo al centro dei processi.
Questo è il cuore della richiesta più volte ripetuta da Giovanni Paolo II di globalizzare la solidarietà. Un invito a contrastare i rischi e i pericoli che una globalizzazione non governata che comporta anche e soprattutto far emergere le forze positive della globalizzazione attraverso gli esempi e i progetti che migliorano le condizioni di vita delle persone. Fra questi il trasferimento di produzioni dal Nord del mondo nei paesi a minor reddito, quando ciò avviene nel rispetto della dignità dell’uomo e del lavoro e nella salvaguardia dell’ambiente, e il miglioramento dell’agricoltura in una logica di sviluppo rispettosa dell’ambiente e delle persone.
Ma soprattutto occorre far leva sulle forze della società civile organizzata, vera protagonista dei progetti di cooperazione allo sviluppo orientati a promuovere dignità umana, lavoro e democrazia. La cooperazione internazionale deve ispirarsi ad un criterio di discriminazione positiva: sostenere i processi di sviluppo come via per incamminarsi decisamente sulla strada della libertà, del rifiuto della guerra e del rispetto degli inviolabili diritti dell’uomo.
La globalizzazione della solidarietà non avviene solo con l’impiego di maggiori risorse economiche, ma puntando su progetti di educazione e formazione come strumento principe di lotta alla povertà; promuovendo la vita delle popolazioni insieme con l’ambiente; tutelando la salute delle persone anche attraverso le grandi conquiste che la medicina ha conseguito nei nostri paesi. Lottare contro la povertà non è solo una questione di politiche e di investimenti certamente indispensabili-, ma al fondo è questione di riconoscere la persona, l’uomo, per quello che è, e di riconoscere tutti gli uomini, qualsiasi uomo in qualsiasi parte del mondo per favorirne la liberazione e lo sprigionarsi delle capacità che Dio ha seminato e che noi dobbiamo apprezzare e valorizzare.
Tutto ciò potrà avvenire non solo grazie alla nostra intelligenza ma se sapremo rispondere alla chiamata di sempre della Chiesa che ci chiede la conversione del cuore.
Rifiutiamo ogni fondamentalismo o ideologie quali il liberismo e il marxismo che hanno condotto l’uno ad un dominio incontrastato del mercato quale unica regola della convivenza sociale, l’altro alla violazione della libertà e dei diritti fondamentali delle persone e al disastro socio-economico. Non possiamo perciò tacere e dobbiamo denunciare che anche nel sud del mondo esistono regimi oppressivi che discriminano o sono violenti sul piano della libertà religiosa e dei diritti umani e si ispirano a modelli neocoloniali, integralisti e totalitari.
In questi anni la ricchezza del tessuto associativo, non solo cattolico, è stata risorsa preziosa per lo sviluppo, sia ieri nel nostro paese, sia oggi nei paesi più impoveriti. Intendiamo proseguire il nostro impegno perché la promozione umana, a partire da una scelta preferenziale per i poveri, sia caratterizzata dall’interazione fra sussidiarietà e solidarietà e diventi così patrimonio comune per creare un contesto in cui tutti membri della comunità abbiano l’opportunità di sviluppare i propri talenti.
Va riconosciuto il diritto al cibo e alla sovranità alimentare insieme alla promozione di modelli di agricoltura sostenibile. Chiediamo che la commercializzazione dei prodotti agricoli non sia soggetta alle regole del WTO; occorre invece una politica antitrust globale che eviti la creazione di monopoli che aggirano le leggi nazionali, alterando i termini della competizione economica. Il primo passo in questa direzione è l’abrogazione delle barriere, anche indirette, all’ingresso sui nostri mercati dei prodotti provenienti dal sud del mondo e l’abolizione delle sovvenzioni alle esportazioni di prodotti agricoli verso gli stessi paesi.