Toscana

La pace a 40 anni dalla «Pacem in terris»

“Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non accetteranno di porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si possa davvero progredire verso la pace”. E’ il monito ai governanti che viene da Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondiale della pace che si celebra il 1° gennaio 2003, intitolato “Pacem in terris: un impegno permanente”.

Facendo riferimento alla situazione in Medio Oriente e Terra Santa, il Papa ritiene che questa “sia resa ancor più drammatica dallo scontro di interessi esistente tra i membri della comunità internazionale”. La “lotta fratricida”, dice il Papa, “pone l’urgente esigenza di uomini e donne convinti della necessità di una politica fondata sul rispetto della dignità e dei diritti della persona. Una simile politica è per tutti incomparabilmente più vantaggiosa che la continuazione delle situazioni di conflitto in atto”: questa verità, osserva, “è sempre più liberante di qualsiasi forma di propaganda, specialmente quando tale propaganda serve a dissimulare intenzioni inconfessabili”. Giovanni Paolo II ricorda che “gli incontri politici, a livello nazionale ed internazionale, servono la causa della pace solo se l’assunzione comune degli impegni è poi rispettata da ogni parte. In caso contrario – sottolinea – questi incontri rischiano di diventare irrilevanti e inutili, ed il risultato è che la gente è tentata di credere sempre meno all’utilità del dialogo e di confidare invece nell’uso della forza come via per risolvere le controversie”.

“Le ripercussioni negative che sul processo di pace hanno gli impegni presi e poi non rispettati – avverte ancora il Papa -, devono indurre i Capi di Stato e di Governo a ponderare con grande senso di responsabilità ogni loro decisione”. Ma soprattutto, sottolinea il Santo Padre, bisogna “dare e secuzione agli impegni assunti verso i poveri”: “Il mancato adempimento degli impegni con le nazioni in via di sviluppo costituisce una seria questione morale e mette ancora più in luce l’ingiustizia delle disuguaglianze esistenti nel mondo. La sofferenza causata dalla povertà risulta drammaticamente accresciuta dal venir meno della fiducia. Il risultato finale è la caduta di ogni speranza. La presenza della fiducia nelle relazioni internazionali è un capitale sociale di valore fondamentale”.

Nel messaggio il Papa fa una lunga analisi dei cambiamenti intercorsi nel mondo negli ultimi 40 anni, da quando cioè Giovanni XXIII scrisse la lettera enciclica “Pacem in terris”: il periodo della guerra fredda, il crollo del muro di Berlino, la nascita delle Nazioni Unite e dei movimenti per i diritti umani. Giovanni XXIII, secondo il Santo Padre, “malgrado le guerre e le minacce di guerre”, colse “il promettente inizio di una rivoluzione spirituale”. Eppure, osserva, “la prospettiva di un’autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si deve registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani”. Questo dovere, afferma il Papa, “tocca tutti i diritti fondamentali e non consente scelte arbitrarie, che porterebbero a realizzare forme di discriminazione e di ingiustizia”. Giovanni Paolo II mette in evidenza la “preoccupante forbice” tra “una serie di nuovi ‘diritti’ promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo: penso, ad esempio, al diritto al cibo, all’acqua potabile, alla casa, all’autodeterminazione e all’indipendenza. La pace – sottolinea – richiede che questa distanza sia urgentemente ridotta e infine superata”.

La comunità internazionale, fa notare il Papa, ha una Carta dei diritti ma “ha per lo più trascurato d’insistere adeguatamente sui doveri che ne derivano”: “Una più grande consapevolezza dei doveri universali sarebbe di grande beneficio alla causa della pace, perché le fornirebbe la base morale del riconoscimento condiviso di un ordine delle cose che non dipende dalla volontà di un individuo o di un gruppo”. Il Papa fa riferimento ad “un grande disordine nella situazione del mondo contemporaneo” e si chiede “quale tipo di ordine può sostituire questo disordine, per dare agli uomini e alle donne la possibilità di vivere in libertà, giustizia e sicurezza?” E raccomanda che il problema dell’ordine negli affari mondiali non prescinda “da questioni legate ai principi morali”. Giovanni Paolo II allude ad “una nuova organizzazione dell’intera famiglia umana, per assicurare la pace e l’armonia tra i popoli”, che non significa “la costituzione di un super-stato globale” quanto piuttosto “l’urgenza di accelerare i processi già in corso per rispondere alla pressoché universale domanda di modi democratici nell’esercizio dell’autorità politica, sia nazionale che internazionale, come anche alla richiesta di trasparenza e di credibilità ad ogni livello della cosa pubblica”.

Per una cultura di pace, conclude il Papa, non servono solo le strutture e le procedure ma anche “persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace”, e che sappiano apprezzare “pienamente la dimensione comunitaria della vita così da percepire il significato e le conseguenze che certi eventi hanno sulla propria comunità e sul mondo nel suo insieme”. La religione, in questo senso, “possiede un ruolo vitale nel suscitare gesti di pace e nel consolidare condizioni di pace”.

Pacem in terris, un impegno permanente. Il testo integrale del messaggio

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