Pisa

La nuova sfida: oltre i campanili per servire meglio il territorio

Potrebbero essere i consigli pastorali parrocchiali e vicariali a migliorare l’applicabilità in diocesi delle unità pastorali. È una delle ipotesi che il nostro arcivescovo, in visita alla Valdiserchio, ha caldeggiato la scorsa domenica incontrando i fedeli del vicariato: «Occorre studiare -ha detto Alessandro Plotti – possibili forme organizzative che rompano la logica centripeta del campanile e che indirizzino verso l’integrazione tra parrocchie vicine». Ma che cosa si intende per unità pastorale? Lo ha chiarito poco dopo lo stesso arcivescovo in un passaggio del suo intervento parlando di un sistema «di collegamento tra parrocchie diverse che collaborano ad una pastorale integrata». Si tratta insomma di una rivoluzione di grande respiro, che riguarderà non solo gli orari e le chiese in cui celebrare la messa, ma soprattutto i luoghi di aggregazione, le scelte pastorali, le iniziative di formazione. Tutto sarà deciso in comune, tenendo conto di una realtà interparrocchiale. «D’altra parte – ha aggiunto Alessandro Plotti – un tempo le persone nascevano, crescevano e vivevano tutta la loro vita, cristiana e non, all’ombra di un solo campanile. L’idea stessa di mobilità era in qualche modo sconosciuta e la comunità paesana diventava identità sociale e culturale degli individui che ne facevano parte. Oggi pensare una cosa del genere sarebbe ridicolo». E infatti sono molti quelli di noi che dormono all’interno del territorio di una parrocchia, che lavorano in una parrocchia diversa e che magari dopo il lavoro trascorrono un po’ del loro tempo con gli amici all’ombra di un terzo campanile. Oggi diventa impossibile pensare che un fedele possa esaurire tutta la sua vita cristiana nelle vicinanze della stessa canonica. «Ecco perché l’unità pastorale diventa una esigenza fondamentale – ha commentato Alessandro Plotti – se vogliamo che i servizi di pastorale diventino davvero efficaci rispetto ai problemi che oggi il territorio vive. Pensiamo ad esempio al problema dei giovani: come fa una piccola parrocchia a pensare ad una pastorale giovanile che sia adeguata ai bisogni, alle esigenze, alla mentalità dei giovani oggi? I ragazzi, ormai tutti motorizzati, vanno dove vogliono e certamente non hanno il campanile come punto di riferimento della loro vita cristiana. Così la maggior parte dei giovani è lontana dalla chiesa, anche perché non ha un luogo dove riconoscersi e dove affrontare la propria formazione non legata al singolo campanile ma ad una proposta cristiana seria ed affascinante». In effetti è innegabile che mentre lo Stato tende a creare grandi comuni – quello di San Giuliano ad esempio è formato da ventitre parrocchie – che cercano l’integrazione tra le loro frazioni, la chiesa rischi di continuare una politica pastorale ancora legata ai campanili. «È proprio a causa delle piccole dimensioni che la comunità diventa sempre più debole e non solo perché non trova le risorse umane, per la cosiddetta crisi delle vocazioni. Il problema invece è di affrontare al meglio le nuove sfide che il servizio sul territorio propone. Un territorio che deve ripensare ai suoi confini non più intesi come linee geografiche ma come tipologia di bisogno». I nuovi tempi impongono ai fedeli l’inevitabile sradicamento dal territorio in cui dimorano ma anche dalla parrocchia che insiste su quel territorio. L’integrazione tra parrocchie vicine si propone dunque come sistema per utilizzare al meglio le risorse della chiesa e «perché la chiesa continui ad essere segno e sacramento di salvezza anche nel mondo di oggi». Unità pastorale che non è un rimedio alla mancanza di preti. «Non è possibile oggi – ha concluso l’arcivescovo – che la pastorale graviti interamente solo sul sacerdote. Nella misura in cui nascono i ministeri laicali infatti sempre più spazio sarà affidato al diaconato permanente e nella misura in cui i laici saranno capaci di assumersi responsabilità in ordine all’evangelizzazione, saranno possibili collaborazioni sempre più numerose».Potrebbero essere i consigli pastorali parrocchiali e vicariali a migliorare l’applicabilità in diocesi delle unità pastorali. È una delle ipotesi che il nostro arcivescovo, in visita alla Valdiserchio, ha caldeggiato la scorsa domenica incontrando i fedeli del vicariato: «Occorre studiare -ha detto Alessandro Plotti – possibili forme organizzative che rompano la logica centripeta del campanile e che indirizzino verso l’integrazione tra parrocchie vicine». Ma che cosa si intende per unità pastorale? Lo ha chiarito poco dopo lo stesso arcivescovo in un passaggio del suo intervento parlando di un sistema «di collegamento tra parrocchie diverse che collaborano ad una pastorale integrata». Si tratta insomma di una rivoluzione di grande respiro, che riguarderà non solo gli orari e le chiese in cui celebrare la messa, ma soprattutto i luoghi di aggregazione, le scelte pastorali, le iniziative di formazione. Tutto sarà deciso in comune, tenendo conto di una realtà interparrocchiale. «D’altra parte – ha aggiunto Alessandro Plotti – un tempo le persone nascevano, crescevano e vivevano tutta la loro vita, cristiana e non, all’ombra di un solo campanile. L’idea stessa di mobilità era in qualche modo sconosciuta e la comunità paesana diventava identità sociale e culturale degli individui che ne facevano parte. Oggi pensare una cosa del genere sarebbe ridicolo». E infatti sono molti quelli di noi che dormono all’interno del territorio di una parrocchia, che lavorano in una parrocchia diversa e che magari dopo il lavoro trascorrono un po’ del loro tempo con gli amici all’ombra di un terzo campanile. Oggi diventa impossibile pensare che un fedele possa esaurire tutta la sua vita cristiana nelle vicinanze della stessa canonica. «Ecco perché l’unità pastorale diventa una esigenza fondamentale – ha commentato Alessandro Plotti – se vogliamo che i servizi di pastorale diventino davvero efficaci rispetto ai problemi che oggi il territorio vive. Pensiamo ad esempio al problema dei giovani: come fa una piccola parrocchia a pensare ad una pastorale giovanile che sia adeguata ai bisogni, alle esigenze, alla mentalità dei giovani oggi? I ragazzi, ormai tutti motorizzati, vanno dove vogliono e certamente non hanno il campanile come punto di riferimento della loro vita cristiana. Così la maggior parte dei giovani è lontana dalla chiesa, anche perché non ha un luogo dove riconoscersi e dove affrontare la propria formazione non legata al singolo campanile ma ad una proposta cristiana seria ed affascinante». In effetti è innegabile che mentre lo Stato tende a creare grandi comuni – quello di San Giuliano ad esempio è formato da ventitre parrocchie – che cercano l’integrazione tra le loro frazioni, la chiesa rischi di continuare una politica pastorale ancora legata ai campanili. «È proprio a causa delle piccole dimensioni che la comunità diventa sempre più debole e non solo perché non trova le risorse umane, per la cosiddetta crisi delle vocazioni. Il problema invece è di affrontare al meglio le nuove sfide che il servizio sul territorio propone. Un territorio che deve ripensare ai suoi confini non più intesi come linee geografiche ma come tipologia di bisogno». I nuovi tempi impongono ai fedeli l’inevitabile sradicamento dal territorio in cui dimorano ma anche dalla parrocchia che insiste su quel territorio. L’integrazione tra parrocchie vicine si propone dunque come sistema per utilizzare al meglio le risorse della chiesa e «perché la chiesa continui ad essere segno e sacramento di salvezza anche nel mondo di oggi». Unità pastorale che non è un rimedio alla mancanza di preti. «Non è possibile oggi – ha concluso l’arcivescovo – che la pastorale graviti interamente solo sul sacerdote. Nella misura in cui nascono i ministeri laicali infatti sempre più spazio sarà affidato al diaconato permanente e nella misura in cui i laici saranno capaci di assumersi responsabilità in ordine all’evangelizzazione, saranno possibili collaborazioni sempre più numerose».