Lettere in redazione

La nostra vita ai tempi di Bartali

Caro Direttore,permettimi un ricordo a proposito della trasmissione dedicata a Gino Bartali. Con il carissimo Gino ho avuto rapporti di amicizia familiare che andavano ben oltre la simpatia sportiva. Mi ha commosso, per cominciare, la rievocazione di quella vita quotidiana precedente la guerra. Scorgemmo la possibilità di un mondo dove sarebbero state minori la povertà, le fatiche, le difficoltà ma subito ci fu addosso la guerra negli anni della nostra infanzia e della nostra gioventù. Ci furono allora di conforto e di sostegno uomini come il cardinale Elia dalla Costa, Giorgio La Pira, Piero Bargellini, ma anche come don Raffaele Bensi e altri ancora. Capisco che per necessità di regia la spigliata figura del cardinale Dalla Costa vista nel telefilm (tanto diversa da quella vera, così solenne e autorevole) riassume l’immagine di tutte queste persone e di altre che pure conobbi, scomparse dalla storia ma rimaste nel cuore di tanti. Nei giorni della guerra tanta gente, riunita da questi uomini, compì atti di grande eroismo, nel silenzio o anche taciuti come fece Gino Bartali, e dimostrò senza armi come si potesse dare avvio a un mondo davvero migliore. Fu allora che cominciò quella grande e civile opera che fu la «Ricostruzione», pagina ignorata della nostra storia ma esaltante, stupenda, che fu opera di pace, di difesa della libertà, di costruzione di strade, ferrovie, case, fabbriche. La gente che accorreva a vedere Bartali e Coppi scopriva come era tornata bella la nostra Italia, pronta a ricevere i pellegrini del Giubileo del 1950. Ma per una futura replica della trasmissione ritengo che alla fine si devono assolutamente ricordare, magari da una voce fuori campo, gli ultimi attimi della vita di Gino, quando al posto di tante maglie sportive volle che gli fosse fatto indossare il semplice saio bianco di terziario carmelitano. Forse proprio la vista di quella veste candida lentamente trasformò il saluto di Firenze a Gino, davanti alla chiesa di San Pietro in Palco, in una serena festa popolare, in un segno di speranza. Nereo LiveraniFirenze Lo sceneggiato su Gino Bartali, che RaiUno ha mandato in onda domenica 26 e lunedì 27 marzo, ha fatto emergere in alcuni nostri lettori ricordi personali, legati alla vita del grande campione del ciclismo italiano. È questo il caso del prof. Giorgio Duminuco di Pavia che a Pisa nei giorni infuocati del luglio 1948, in un clima da guerra civile in seguito all’attentato a Palmiro Togliatti, intraprese insieme ad altri giovani cattolici un viaggio avventuroso per portare con uno sgangherato camion generi alimentari ad una colonia estiva a Calambrone, con un finale alla Don Camillo – Peppone, dovuta, si dice, in gran parte allo stemperarsi della tensione per la vittoria di Bartali al Giro di Italia.La lettera dell’amico Nereo Liverani ci dà però la possibilità di fare alcune considerazioni più generali e di sottolineare come nella fiction si sia saputo ben legare la vicenda umana e sportiva di Bartali ad un periodo della storia italiana drammatico, ma anche ricco di generosità e di altruismo. Emerge un’Italia che vive il dramma della guerra con le sue violenze e lacerazioni che si avvia però alla Ricostruzione, facendo leva su valori forti e allora in gran parte condivisi. Bartali li esprime bene: la lealtà, l’onestà, le fedeltà agli ideali, la famiglia, la fede sincera, vissuta, manifestata ma non ostentata. E così nella vicenda di un popolarissimo sportivo si riflette in qualche misura un popolo che dopo tante rovine vuol costruire qualcosa di solido. Lo sceneggiato ha ottenuto grande successo: questo indica che gli spettatori sanno apprezzare i buoni prodotti, sfatando così ancora una volta il luogo comune per cui le Tv sarebbero in fondo costrette a giocare al ribasso con Grandi Fratelli, Fattorie e giochini vari per venire incontro ai desideri del pubblico.