Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«La nostra città, un laboratorio culturale».

Con molto rispetto, Signor Sindaco d’Arezzo, Le chiedo di essere accolto in questa comunità. Mettendomi accanto ai molti migranti, che vengono da luoghi diversi con l’intenzione di ben operare in questo territorio, sono a chiederLe di volermi annoverare tra i cittadini di questa città, dove volentieri, a partire da questa sera, fisserò la mia residenza. Nei 44 anni nei quali sono stato lontano dalla Toscana mai ho dimenticato la bellezza della mia terra e la vivacità delle nostre aggregazioni. Appartiene alla storia della Chiesa far tesoro di identità forti, per quel che le compete valorizzandole. Ciascuna delle nostre città fin dall’antichità medievale è aggregata attorno ad una piazza che è, ad un tempo, il luogo di incontro delle persone, ma anche il simbolo della confluenza tra molte diversità. Il concetto stesso di cittadino è legato alla capacità di incontrarsi con gli altri, di discutere e dialogare, di trovare rispetto, anche nelle diversità di opinioni. La piazza è lo spazio più largo della casa di ciascuno. Oltre ad essere punto di incontro è segno di appartenenza. Attorno all’unico luogo che è di tutti, si affacciano le singole identità: le istituzioni, ma anche le peculiarità di ciascuno. La piazza finisce per essere, nella nostra storia, il simbolo del bene comune, o, ancor più, lo spazio che esprime il partecipare. Il futuro sembra giocarsi più nel dialogo che nella contrapposizione, nella capacità di convergere, assai più che nelle lacerazioni. Mi piace pensare la nostra città, di grandi risorse, come un laboratorio culturale, dove nella globalità si ragiona di uomo, nella pienezza delle risorse e nella ricchezza d’essere creature di Dio (…). Il mio pensiero, fin da questo primo momento pubblico, va alle famiglie che in questi complicati frangenti hanno difficoltà economiche per la carenza di commesse lavorative, in un territorio che si è distinto nei decenni per le sue capacità e l’apprezzato know how nei molti settori delle proprie attività. È noto a tutti in Italia che la Provincia aretina, soprattutto nel periodo susseguente il secondo conflitto mondiale, ha saputo gestire le trasformazioni con singolare acribia e avvalendosi di uomini, che hanno servito la cosa pubblica in modo da favorire il bene comune (…). La Chiesa, in questo contesto, ha un significativo ruolo da svolgere, purché seguiti a essere contigua a ciascuno, rispettosa delle diversità, forte della propria identità, capace di umiltà. Tocca innanzitutto ai cristiani il ruolo dell’esempio. In mezzo alle case degli uomini, alla Chiesa tocca di fare da torre, come i campanili che punteggiano le nostre valli. Tocca alle comunità cristiane tener viva dentro la città dell’uomo il senso e la prospettiva del soprannaturale (…). Alle Chiesa tocca anche di far da collante, per favorire l’unità e la concordia e spingere tutti alla ricerca del senso delle cose. È un compito che possiamo rendere all’intera società, anche in questa bellissima fase della storia dove, mutandosi i luoghi comuni e le certezze, c’è rinnovato spazio per «gli uomini liberi e forti». Ci appartiene il ruolo delicatissimo e bello di essere fautori dell’unità. Le differenze arricchiscono, sono proposte: appartengono da sempre alla nostra storia, certamente sono una ricchezza per un futuro comune.Riccardo Fontana Arcivescovo