Padre Fabiano e padre Silvano hanno uno stesso luogo d’origine, il Casentino: Fabiano affonda le sue radici a Subbiano, Silvano a Capolona, due comuni divisi solo dal ponte sull’Arno. Hanno due nomi che rimano insieme, appartengono allo stesso ordine religioso, quello dei Frati Cappuccini, hanno la stessa vocazione missionaria e operano entrambi in uno dei Paesi più poveri dell’Africa, la Tanzania. Eppure non si somigliano affatto. Fabiano Cutini è alto, con lo sguardo pensoso e il viso coperto di barba bianca, le mani forti di chi costruisce e il silenzio schivo di chi è abituato a poche parole e generosi sorrisi; Silvano Nardi è piccolo e vispo, parla e racconta volentieri. Sono tornati in Italia per poco tempo, come sempre accade una volta ogni due o tre anni.«La zona in cui sto io, ad Upanga – racconta padre Silvano – si avvicina molto alle città inglesi, con grattacieli e prati verdi. Anche lo stile di vita delle persone, il loro modo di vestire, ricorda quello europeo. La mia parrocchia si trova nella zona delle ambasciate e dell’ospedale, per questo molti parrocchiani sono di ceto medio alto». Padre Silvano è molto preciso quando racconta, vuole assicurasi di dipingere con efficacia il quadro di una missione senz’altro anomala rispetto a quanto normalmente si immagina quando si parla di Africa. «Sto lì con altri tre Cappuccini toscani. Il nostro è un lavoro di apostolato, ma anche di promozione umana: per questo abbiamo la scuola media e la scuola di taglio e cucito, dove si impara l’inglese e la contabilità; ci sono poi i gruppi parrocchiali, impegnati in varie attività. Dal lato religioso, la mia è una parrocchia molto simile a una italiana, ma l’impressione è che gli africani siano più vivaci». Un esempio? «Ogni giorno, alla Messa delle sei e mezzo del mattino, prendono parte anche 100 persone, ma il modo di viverla è diverso. Durante la liturgia: ci sono più canti, si balla, c’è più festa». Ad Upanga è forte anche la presenza musulmana: come sono i rapporti tra le due comunità? «Molto tranquilli, ci si rispetta. C’è una scuola di musulmani confinante con la nostra chiesa, e le ragazze – che non portano il velo, ma solo una pezzuola in testa, e a volte hanno nomi cristiani – vengono ad affacciarsi: gli ho parlato spesso della Madonna e di Dio, e loro ascoltano attente».Ben diversa è la situazione a Kibaigwa, nell’interno, dove padre Fabiano opera con un altro frate tanzaniano. La sua missione comprende quindici villaggi in un territorio che, dice Fabiano, «sarà come tutta la piana del Casentino». Poi racconta: «La nostra missione somiglia a tante altre dell’interno: c’è la chiesa, che è sempre il centro di aggregazione del villaggio, la casa dei padri, le suore che gestiscono la scuola materna, poi la scuola di taglio e cucito, e a volte le scuole secondarie, come abbiamo noi». Ad agosto il Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, monsignor Gualtiero Bassetti, è stato in visita in queste missioni. «E’ venuto perché siamo in sei missionari aretini, e ha detto che considera questi territori come una parte della sua diocesi» afferma padre Silvano. «Il Vescovo – continua – è venuto anche per vedere di persona cosa è stato realizzato grazie alle offerte della diocesi e dei benefattori: la chiesa, la scuola, il dispensario, la falegnameria e gli ostelli per ragazzi che ha messo su Fabiano, il centro per bambini handicappati che abbiamo noi ad Upanga, che solo grazie alle offerte dall’Italia può essere mantenuto attivo». E adesso che padre Fabiano e padre Silvano sono in Italia, i due Cappuccini hanno ricambiato la visita a monsignor Bassetti incontrandolo ad Arezzo.di Lucia Pecorario