Lettere in redazione
La Messa in latino non è mai scomparsa
In relazione alla lettera e alla risposta pubblicata da Toscana Oggi il 24 maggio 2009 (Perché un cattolico critica il «motu proprio» sulla Messa?), mi permetto di disturbarvi perché desidero che, almeno la stampa chiaramente cattolica, come Toscana Oggi, eviti la confusione fra la Messa Tridentina o Latina prima del 1962.
In tante abbazie, come a Monte Oliveto Maggiore, nei giorni feriali, e in varie cattedrali, è sempre stato possibile, e di fatto è stata celebrata la Messa in latino, naturalmente col messale, cosidetto, di Paolo VI.
Quindi, non si tratta di Messa latina o non-latina, ma di uso del messale per-conciliare o post-conciliare. Quello post-conciliare può essere in latino, ed è stato già riedito tre volte. Ripeto, noi lo usiamo nei giorni feriali.
Per una chiarezza della questione, sarebbe bene parlare di messale di Paolo VI e messale di S. Pio V (edito solo in latino), piuttosto che di Messa latina o non-latina.
Ringraziamo l’Abate di Monte Oliveto per questa precisazione. Per brevità non lo avevamo ripetuto nella risposta citata, ma Toscana Oggi l’aveva spiegato più volte che il «Motu proprio Summorum Pontificum» (Motu proprio Summorum Pontificum) di Benedetto XVI del 7 luglio 2007 non riguarda la «Messa in latino», quanto piuttosto la possibilità di utilizzo «straordinario» del «Messale Romano» promulgato da Giovanni XXIII nel 1962 e «mai abrogato». E, come ci ricorda l’Abate, in diverse chiese (soprattutto cattedrali, monasteri, abbazie) si è continuato in tutti questi anni a celebrare la Messa utilizzando la lingua latina e il Messale «conciliare», promulgato nel 1970 da Paolo VI (e riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II). Ricordiamo che la Costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» stabiliva che «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari», fosse «conservato nei riti latini». Ma auspicava anche che, poiché «non di rado l’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo», si concedesse «alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti».