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La liberazione di Mosul: cristiani dubbiosi e prudenti
Si combatte a Mosul dove la città è a un passo dall'essere liberata dall'esercito iracheno. La testimonianza del sacerdote caldeo, padre Paolo Mekko: «Ci sono tante chiese distrutte. Servirà a ricostruirle se poi i cristiani non torneranno?».
Le bandiere irachene spuntano dai tetti dei quartieri liberati di Bab al-Saray e Makawi nella città vecchia di Mosul. L’assalto contro il cuore storico della seconda città irachena era stato lanciato il 18 giugno, con notevoli difficoltà, poiché spesso i jihadisti in ritirata utilizzavano i civili come scudi umani. Gli iracheni hanno ripreso anche l’ospedale Ibn Sina e diversi centri medici riconquistando anche tutta la zona di Al-Shifaa, attorno al nosocomio. Giovedì scorso le forze lealiste irachene avevano riconquistato le rovine della moschea al-Nuri da dove nel 2014 Abu Bakr al-Baghdadi aveva proclamato la rinascita del Califfato.
Tutto questo mentre continuano i combattimenti per stanare gli ultimi combattenti dello Stato islamico (Daesh) che controlla ormai solo una piccola area. Significative a riguardo le parole di Yahia Rasoul, portavoce dell’esercito iracheno, «l’Esercito sta avanzando nella Città vecchia. La vittoria nella parte ovest della città sarà annunciata a breve». A confermarlo al Sir è padre Paolo Mekko, sacerdote caldeo della diocesi di Mosul, molto attivo tra i cristiani della città irachena e della Piana di Ninive, oggi riparati a Erbil, in Kurdistan. «Al momento nella zona Est di Mosul la situazione appare tranquilla. L’avanzata dell’esercito iracheno nel quadrante ovest ha di fatto bloccato, già da tre mesi, il lancio di razzi da parte di Daesh verso Est. Attualmente si combatte nel centro storico di Mosul dove le strade sono strette, ci sono tanti vicoli ed è difficile muoversi. All’interno ci sono ancora tanti civili. Ma la liberazione è questione di giorni».
Cristiani prudenti. Ma quella che potrebbe essere una bella notizia non sembra scaldare molto il cuore delle migliaia di cristiani sfollati nella capitale del Kurdistan che mostrano prudenza davanti ai fatti in corso. A spiegarne i motivi lo stesso sacerdote: «Daesh è battuto militarmente ma la sua ideologia è ben lungi dall’essere abbattuta. Dunque ci vorrà del tempo prima che le persone che sono fuggite, tra loro anche i fedeli cristiani, possano tornare a Mosul e riprendere una vita per quanto possibile normale». Una volta liberata la città, aggiunge, «occorrerà ricreare condizioni di sicurezza stabili e soprattutto di fiducia tra le varie componenti della popolazione. Per non parlare della ricostruzione delle case distrutte durante i combattimenti, della liberazione di quelle occupate da Daesh in questi tre anni». Difficile, dunque, pensare a un pronto rientro dei cristiani a Mosul, a differenza di quelli dei villaggi cristiani della Piana di Ninive che invece stanno rientrando lentamente. L’intensità degli scontri non permette l’ingresso in città e fare un censimento delle chiese e dei luoghi di culto colpiti, distrutti o occupati.
«In città – spiega padre Mekko – abbiamo delle chiese e cattedrali cristiane, per esempio quella di sant’Isaia e dell’Immacolata, alcune anche del IV secolo, molto più antiche della moschea di al-Nuri. Da foto in nostro possesso si possono vedere edifici di culto demoliti, altri danneggiati. Purtroppo non sappiamo cosa sia rimasto al loro interno, degli arredi, degli oggetti sacri. Sappiamo anche di chiese usate o trasformate come garage. Appena sarà possibile mi recherò in queste zone di Mosul per verificare di persona e vedere cosa sarà possibile fare per ricostruire o risistemare».
Il grande dubbio. In padre Mekko, però, permane il grande dubbio: «Se i cristiani non rientreranno, se non ci sarà il popolo, a cosa servirà ricostruire le chiese?». Lo stesso dubbio vale per le abitazioni: «A Mosul, Daesh ha occupato molte case dei cristiani. Lo stesso hanno fatto tante famiglie musulmane vicine ai jihadisti». La speranza è che una volta del tutto liberata la città, queste case tornino ai legittimi proprietari. In questa direzione, rivela il sacerdote, opera una Commissione, composta anche da membri dell’esercito e da capi religiosi, incaricata di verificare le case dei cristiani occupate e provvedere alla restituzione ai legittimi proprietari».
Ma perché i cristiani tornino serve anche «ripristinare sicurezza e stabilità dell’intera zona, una volta scacciato Daesh. In questo il Governo deve agire con serietà. Prima del 2014, dunque prima di Daesh, i rapporti tra le varie Istituzioni politiche e militari non erano buoni, c’erano divisioni settarie tra sciiti e sunniti. Oggi rispetto al passato abbiamo orfani e vedove, molti poveri, l’economia è debole. Tutti fattori di destabilizzazione che potrebbero provocare ulteriori conflitti futuri alimentati da vendette ora difficili da evitare». Difficile per i cristiani tornare a fidarsi dei suoi vicini musulmani: «Come dicevo la mentalità del Daesh è diffusa tra tanti di loro e ciò rappresenta un pericolo.
Molti cristiani sanno bene che quando i miliziani di Daesh hanno occupato la città, furono in molti tra i musulmani ad accoglierli. Ora stesse scene di giubilo le vediamo per i militari iracheni che sono entrati in città. Dove sta la verità? Ci si può fidare? Oggi la sicurezza è la priorità. Senza non ci saranno né rientri né ricostruzione».