Italia
La lezione di Giorgio La Pira
Non solo un “giullare di Dio”, capace di andare controcorrente rispetto alla logica del mondo, ma anche un uomo dotato di una profonda “coerenza”: evangelica, cioè capace di far “fruttificare i doni dello Spirito”, ma anche scientifica ed intellettuale. Fatta del “rigore” e del piglio di un professore di diritto romano che ha insegnato per quasi mezzo secolo e che è stato uno dei principali “architetti” della nostra Costituzione e dell'”anima” dell’Europa. VITTORIO POSSENTI, docente di filosofia all’Università di Venezia, descrive così i tratti salienti della figura di Giorgio La Pira, alla vigilia di un convegno di studio che si svolgerà il 12 e 13 novembre, a Roma (Pontificia Università San Tommaso d’Aquino), per iniziativa della Fondazione “Giorgio La Pira”, della Pontificia Università “San Tommaso d’Aquino” e del Centro di promozione culturale della Provincia romana di Santa Caterina Da Siena. Tema del convegno, organizzato nel centenario della nascita, “Nostalgia dell’Altro. La spiritualità di Giorgio La Pira”. Tra i partecipanti (oltre a Possenti), il card Georges Cottier, teologo della Casa pontificia, il presidente Oscar Luigi Scalfaro e lo storico Andrea Riccardi.
Quanto conta il riferimento “all’altro” in una figura come quella di Giorgio La Pira?
“A mio avviso è l’elemento centrale di tutto l’agire e la spiritualità di La Pira. In primo luogo il riferimento all’altro è il riferimento a Dio: fin dalla giovinezza, in particolare dai 18 anni fino alla fine della sua vita, il rapporto con Dio è stato fondante e costitutivo della sua stessa persona e azione, e spiega tanti aspetti della produzione letteraria, delle lettere costantemente inviate da La Pira ad amici e familiari, poi alle claustrali dei vari monasteri della Toscana, dell’Italia e di varie altre parti del mondo. Si può dire che La Pira era un ‘innamorato di Dio’, continuamente teso alla preghiera e alla contemplazione, anche nelle fasi più acute della vita politica, come tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50, quando nel pieno di trattative sindacali molto accese era solito dire: ‘Esco perché il Presidente mi chiama’, prima di ritirarsi in una zona tranquilla a pregare per poi riprendere il lavoro. Ma il riferimento all’altro in La Pira è sempre anche un riferimento all’altro essere umano, all’insegna del comandamento fondamentale del cristianesimo ‘amare Dio con tutta l’anima e l’altro come se stesso’, che egli ha sempre cercato di realizzare in concreto. L’altro è il povero che non trova lavoro, nella Firenze dei primi anni cinquanta; è la persona che cerca pace, come individuo ma anche come popolo ”.
In che modo La Pira è riuscito a conciliare “libertà religiosa” e impegno laicale?
“Si è sempre considerato un fedele laico, come scriveva nei primi anni trenta a una suora che lo aveva scambiato per un sacerdote: considerava suo compito rimanere un laico e aiutare gli altri ad amare Dio. La Pira non si è posto mai in profondità il problema della libertà religiosa, perché per lui era spontanea l’idea che gli altri non potevano essere costretti a convertirsi, e quella altrettanto fondamentale che lo Stato non potesse limitare l’azione della Chiesa. Quella che visse è stata la dimensione dell’incontro con persone di tutte le opinioni, le fedi, a partire dalla ‘terrazza di Abramo’ in comune per ebrei, cristiani e musulmani”.
Pace, mitezza, mediazione sembrano oggi “parole a perdere”
“La parola più significativa per caratterizzare la figura di La Pira è: ‘pace’. Era un uomo capace di abbattere muri e costruire ponti, nel quale risplendeva la forza del discorso della Montagna, perché andava sempre alla ricerca di ciò che unisce invece di ciò che divide. Basti pensare all’azione di dialogo in favore della pace tra israeliani e palestinesi, con cui La Pira più di 30 anni fa prefigurava la soluzione che si sta, faticosamente, cercando di realizzare oggi: la convivenza pacifica di due Stati, israeliano e palestinese. È questo ‘spirito’ che rende ancora oggi attuale e profetica la sua testimonianza”.
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