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La lenta agonia di Aleppo dove i «commercianti della guerra» stanno «distruggendo l’uomo»

L'agonia della città siriana di Aleppo nelle parole del parroco latino di san Francesco, padre Ibrahim Alsabagh. La foto del piccolo Omran Daqneesh, il bambino di cinque anni colpito insieme ad altri piccoli nel quartiere Qaterji, da un bombardamento aereo, è l'immagine nitida dell'orrore di una guerra che nessuno vuole o può fermare. La tregua di 48 ore? "Tardiva e superficiale".

“Una lenta agonia. La situazione è disastrosa”. Le parole di padre Ibrahim Alsabagh, francescano e parroco della cattedrale latina di san Francesco, ad Aleppo, città martire siriana, sembrano contemplare sia lo sguardo frastornato del piccolo Omran Daqneesh, il bambino di cinque anni colpito insieme ad altri piccoli nel quartiere Qaterji, da un bombardamento aereo, le cui foto hanno fatto il giro del mondo, sia la disperazione di una popolazione oramai allo stremo delle forze. Tutto l’orrore di una guerra in una foto. Nella mente del religioso francescano sono tanti i piccoli e i grandi Omran che ancora vivono ad Aleppo dove c’è da fare i conti con una violenza mai vista.

“Sono 5 anni, ormai, che siamo sottoposti a continue ondate di violenza – spiega al Sir il francescano – dopo ogni ondata il popolo riprendeva fiato e speranza in un futuro migliore di pace, di convivenza. Per poi ricadere nello sconforto. Ma nell’ultimo periodo, a causa degli scontri tra esercito regolare e milizie armate, stiamo subendo un’ondata di morte, la peggiore mai vista. Ci sono stati anche momenti in cui abbiamo creduto che si potesse intravedere una soluzione, invece siamo di fronte al culmine della crisi che ci sta portando ad una lenta agonia”. Non sembrano sorprendere più di tanto le dichiarazioni dell’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan De Mistura, che ha annunciato di avere sospeso l’attività della task force umanitaria poiché i continui combattimenti ostacolano gli aiuti ai civili e chiesto una tregua di almeno 48 ore, in particolare per Aleppo.

“In città la gente è martoriata. Le famiglie – racconta padre Ibrahim – soffrono nell’animo, per la paura dei bombardamenti, delle malattie, dei traumi psicologici, del male prodotto ai loro bambini. Soffrono nel corpo perché hanno grandi difficoltà economiche. Manca tutto: acqua, luce, medicine, viveri. Manca il lavoro per guadagnare quel poco di pane necessario a sopravvivere. È una sofferenza continua quella che vivono le famiglie di Aleppo”. Davanti a tanto dolore padre Alsabagh non parla più di “emergenza” ma di “catastrofe umanitaria”. E porta degli esempi. “Chi vede Aleppo non può non restare impressionato. Aleppo oggi è come le città distrutte della Seconda Guerra Mondiale, o di epoche più recenti, come Sarajevo. Non credo che si sia mai vista una simile quantità e qualità di violenza come quella che sta distruggendo la Siria, e Aleppo in particolare. E non è ancora finita”.

La guerra “continua come se niente fosse e semina sempre più morte, distruzione, profughi e rifugiati. Più che gli edifici e le strutture qui si sta distruggendo l’uomo”.

Qui la voce del francescano s’incrina, fino a sussurrare un significativo “questo è ciò che mi amareggia”. Ricostruire strade, scuole e palazzi è sempre possibile, ma il cuore dell’uomo? “Non parlo solo di cristiani – sottolinea il parroco – ma di ogni uomo che vive qui, specie di quello che nel suo cuore rifiuta le armi perché vuole vivere in pace”.

Nell’Aleppo di oggi nemmeno la preghiera sembra bastare più. “I bambini soffrono e i potenti continuano a commerciare le sorti del nostro Paese”, denuncia il francescano, per il quale la richiesta di tregua umanitaria di 48 ore appare “tardiva e superficiale”.

“Oggi – ribadisce – non basta più solo un pezzo di pane, ma una soluzione a questa tortura, a questa sofferenza continua che non accenna a finire”. La colpa è dei cosiddetti “commercianti delle guerre, che traggono profitto dalla situazione, che hanno in mano il gioco. Lo vediamo in piccolo anche ad Aleppo, dove ci sono persone o gruppi – che qui chiamiamo i ‘commercianti della guerra’ o gli ‘arricchiti della guerra’ – che giocano sulla testa dei poveri.

Chi guida le sorti del mondo e di diversi Paesi non deve avere questa mentalità. Il rischio, altrimenti, è che l’uomo venga privato della sua dignità e venduto di continuo. Non vogliamo che la comunità internazionale si abbassi a questo livello, nel quale ogni potenza spinge per risolvere a suo tornaconto una crisi che uccide quotidianamente migliaia di persone e di famiglie”. La speranza è che “la comunità internazionale sappia dialogare pensando al bene del popolo, di ogni uomo e di tutto l’uomo. Vogliamo che i Paesi che scrivono la storia della nostra umanità usino misericordia verso l’uomo devastato e sofferente oggi in Siria, in modo speciale ad Aleppo”.

La Chiesa locale cerca di fare la sua parte. Un impegno quotidiano, silenzioso, di accoglienza e di aiuto. Rivela padre Ibrahim: “Tanti nostri fedeli ci dicono di vedere il volto più bello della Chiesa: una Chiesa madre che si preoccupa e aiuta spiritualmente e materialmente i suoi figli. Io posso dire che la Chiesa di Aleppo è una Chiesa raggiante, piena di luce, che emana fede, speranza e carità, non solo per i suoi figli ma per tutto il popolo siriano.

Una Chiesa coraggiosa al punto di spogliarsi di tutto ciò che ha per donarlo al popolo. La nostra Chiesa è, in ogni istante, in ginocchio per lavare i piedi dei lebbrosi del XXI secolo, che sono i poveri, i deboli, i rifugiati, i profughi, le vittime della guerra. Continuiamo ad andare avanti, nonostante le difficoltà per far arrivare gli aiuti e l’embargo”. Padre Alsdabagh ricorda un recente viaggio in Italia e un colloquio con il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei). “Davanti a lui mi sono fatto la portavoce della Comunità cristiana di Aleppo, chiedendo l’intervento concreto della Chiesa italiana; che si manifesti agli aleppini come sua natura di Chiesa, un riflesso della tenerezza di Dio.

La Chiesa italiana è sempre al nostro fianco, spiritualmente e concretamente, ma anche pronta a sostenere ogni sforzo nel trovare una soluzione a questa guerra che è più grande di noi.

Abbiamo bisogno di grande sostegno – conclude il parroco – siamo un popolo martoriato, siamo una Chiesa che soffre. Non esiste città al mondo oggi che soffre come Aleppo. Il mondo ascolti la voce di Aleppo e della Siria: che sia pace… e pace duratura”.