Cortona aveva già tante memorie scritte dei fatti della seconda guerra mondiale che la riguardano. Nel 1995 fu pubblicato il volume di don Rodolfo Catorcioni, «Passaggio del fronte nei monti cortonesi, 1943-1944» (edizione Grafica L’Etruria), in cui il compianto parroco di Cantilena si augurava che la lettura di «questi ricordi di guerra, con la descrizione degli orrori che si è trascinata dietro, servisse a spengere quell’istinto bellico che l’umanità porta in sé da Caino in poi e suggerisse pensieri e desideri di pace per la famiglia, la società e per il mondo intero».Ma già nel 1946 l’editore fiorentino Felice Le Monnier aveva pubblicato una raccolta di cronache di guerra in territorio cortonese, relativamente al giugno-luglio 1944. Il volume, «La piccola patria», curato dal nostro grande scrittore Pietro Pancrazi, fu voluto dal vescovo Giuseppe Franciolini, che invitò i parroci a tenere un diario, o almeno a prendere qualche nota, degli avvenimenti che sarebbero occorsi. I diari e le note sarebbero stati poi conservati nell’archivio della Curia vescovile di Cortona. «Non manca varietà a queste note», avverte Pancrazi. «Ci sono luoghi e paesi (Falzano, Valecchie, Portole, Montanare, Santa Caterina, San Biagio a Fasciano) dove la guerra passa con bagliori di incendio e di tragedia. E altri dove (a parte la gran paura e il fuggi fuggi generale) la guerra passa soltanto come una mezza grandinata sui campi, una drastica rivista a stalle, cantine e dispense, fughe di porci e grande starnazzare di polli. Fino a quel felice Seano da cui il cronista-parroco annuncia al suo vescovo che, nel passaggio delle truppe tedesche e alleate, qui non si è verificato nessun incidente». Il susseguirsi degli eventi suggerì al curatore della raccolta interessanti riflessioni, perché quel periodo fu, sì, «atroce tempo di guerra (e con le facce dure dei tedeschi vide lividi i volti di molti italiani), ma ebbe pure, quasi a compenso, una sua particolare, improvvisa e inattesa umanità e carità. In quei mesi, o in quelle settimane, in verità nessuno di noi restò qual era: e chi non divenne più cattivo, era diventato più buono».Un altro importante tassello si aggiunge ora a queste raccolte: il «Diario di guerra, 1939-1942» di Fortunato Cardicchi, curato da Marizia Bucci Mirri, edito dalle Grafiche Calosci di Cortona. Il volume, fresco di stampa, sarà presentato sabato 29 maggio, alle 17, presso il salone Mediceo di Palazzo Casali. Interverranno Luca Berti, presidente della Società Storica Aretina, e il cortonese Mario Parigi, accademico etrusco. Non mancherà Tito Barbini, già sindaco di Cortona, che porterà inedite testimonianze relative alle vicende sociali e politiche del tempo.Fortunato Cardicchi era conosciutissimo a Cortona, dove era nato nel 1917, e dove aveva incominciato a lavorare come idraulico già dall’età di undici anni perché era rimasto orfano del padre ed era l’unico maschio in famiglia. Era conosciuto con il nomignolo di «Rosso», e non soltanto per il colore dei capelli e del carnato. Tant’è vero che nel 1970, ormai uomo maturo, viene eletto a Cortona come indipendente nella lista del Partito comunista per il Consiglio comunale e nominato assessore al personale. «Carica sottolinea l’autrice nella quale seppe meritarsi il plauso di quanti ebbero a che fare con lui e dalla quale non trasse nessun vantaggio personale, se non l’aumento della stima altrui». Ma nella giovane età, Fortunato era cresciuto con il mito del Duce e degli «immancabili destini»: saranno proprio questi ideali a guidarlo nelle sue scelte, anche nel servizio militare che iniziò con entusiasmo il 2 aprile 1939, domenica delle Palme. Ed è con questa esperienza che inizia il suo diario: «La Domenica delle Palme sarà per me anche nel trascorrere di molti anni una domenica memore nella storia della mia vita. Ogni primavera che verrà porterà seco per me quel certo so che di brivido che scuoterà tutto, perché mi ricorderà l’inizio di una nuova vita da me tanto sognata. La vita militare». A parte qualche svarione grammaticale e ortografico, il diario di Fortunato è ricco di battute ed espressioni ironiche. Teme di essere messo agli arresti? Ci ride sopra: «Ormai sono certo di andare qualche giorno agli studi». Deve dormire in una stalla? Niente di meglio: «Così avremo l’onore di dormire nella stessa camera con quattro signore e due signorine». Viene promosso geniere scelto: «Oh corbelli, cominciamo a far carriera». Sorride anche della sua divisa da militare: «Alla prima vetrina che passo dinanzi vedo con la coda dell’occhio rispecchiarsi sul vetro un militare. Mi fermo di scatto e mi accorgo di essere io stesso. Come sono ridicolo, con una bustina che sembra una corrazzata, la giacca tutta rigida e di dietro nel sedere mi fa un becco sembro un rondone».E così la «naia» procede con alterne vicende fino alla tradotta, la «lussuosa vettura» che lo porta in Croazia. La descrizione dei fatti continua con quel linguaggio semplice, ma colorito e corretto, immediato ed efficace, caratteristico di Fortunato. Il diario è formato da sei quadernetti che riportano, quasi giorno per giorno, fatti, difficoltà, speranze, preoccupazioni e si ferma bruscamente al 9 novembre 1942. Si conclude con un’amara riflessione: «Questa sera qui vicino si è sentito una sparatoria ma ormai non ci facciamo più caso. Proprio ora son le 22 ho avuto l’ordine di spiantare domani mattina presto perché alle 8.30 si parte. Speriamo come si dice che sia l’ultima tappa e poi si rientra. Quanto sarò felice. Sono stufo di questa vita di grandi sagrifici benché non possibile trascriverli». In sostanza, un diario «vero», fatto di concretezza, che si legge tutto di un fiato e che, al di là delle incertezze grammaticali e della quasi assente punteggiatura, ci offre, a distanza di settant’anni, un quadro di simpatia e di schietta umanità. di Benito Chiarabolli