Toscana

La guerra è sempre una sconfitta

di Patrizia Caiffa I preparativi per la guerra all’Iraq sono, per il momento “solo deterrenza” e in ogni caso la guerra “non serve ad eliminare il terrorismo”; se gli ispettori Onu non troveranno le prove contro Saddam Hussein “la cosa più logica sarebbe di ritirare l’embargo contro la popolazione irachena”. Questo il parere dell’arcivescovo mons. Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace (già osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite), al quale abbiamo rivolto alcune domande, anche in riferimento al messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace.

Nel discorso al corpo diplomatico il Papa è stato molto chiaro: la guerra è sempre una sconfitta dell”umanità. A suo avviso ci sarà o no l’attacco all’Iraq?

“La guerra, come dice il Papa, è l’insuccesso del negoziato, del dialogo che tenta tutte le vie possibili prima di una guerra. Tutti i giornali parlano dei preparativi per la guerra all’Iraq, che a mio avviso sono, per il momento, solo deterrenza e non un proposito fermo di andare alla guerra. I toni mi sembrano già più moderati e si arriva perfino a dire che la guerra potrebbe iniziare nell’autunno prossimo. Quindi anche le minacce si stanno mitigando. Speriamo sia dato ampio spazio agli ispettori dell’Onu, che hanno chiesto un tempo supplementare per condurre le loro ispezioni, quindi bisognerà aspettare le loro conclusioni”.

E se gli ispettori dell’Onu non troveranno le prove contro Saddam Hussein, cosa è prevedibile che accada?

“La cosa più logica sarebbe di ritirare le sanzioni perché, come ha detto il Papa, dopo dodici anni di embargo la popolazione irachena è stremata, ha sofferto e soffre ogni tipo di privazione. E questo, umanamente e umanitariamente, non si può tollerare ancora a lungo. Soprattutto la denutrizione dei bambini costituisce una minaccia per le future generazioni: il cervello ha bisogno di svilupparsi e se non riceve adeguato nutrimento produce esseri umani con poche facoltà mentali. Quale sarà allora il futuro di questo popolo?”

Cosa ne pensa di chi invoca la guerra come strumento più efficace per sconfiggere il terrorismo?

“Già alcuni giorni dopo l’11 settembre, all’Onu cominciai a dire che il terrorismo è una piaga e una sciagura per l’umanità, perché colpisce all’improvviso soprattutto innocenti, e quindi deve essere eliminato. Ma la lotta al terrorismo non si fa solo rendendo inoffensivi i terroristi (naturalmente nel rispetto dei diritti umani). Non si elimina il terrorismo se non si va alle cause, che sono di origine politica, economica e culturale. Il Papa nel messaggio per la Giornata mondiale della pace parla della frustrazione dei poveri, che può essere causata anche dalle ‘promesse non mantenute’ dai governanti. Se le popolazioni povere si vedono negate le promesse in termini di giustizia e sviluppo, la frustrazione può aumentare. Nei giovani che non vedono prospettive per il proprio futuro si trovano i candidati al terrorismo. Per loro la vita o la morte è la stessa cosa, per cui il risultato è che si propongono come kamikaze. Se andiamo a guardare quali sono le cause che inducono queste persone a diventare terroristi, lì troveremo la soluzione”.

Nei Paesi maggiormente interventisti c’è realmente una opinione pubblica favorevole alla guerra?

“Assolutamente no. Proprio leggendo i giornali mi accorgo che si susseguono le manifestazioni contro la guerra, e non solo nei Paesi occidentali. In tutto il mondo è un coro unanime contro la guerra. Allora mi domando: perché coloro che fanno queste minacce non tengono conto dei sentimenti del popolo? La guerra è solo distruzione, spargimento di sangue, un disastro non solo per chi è colpito ma anche per chi colpisce. Nel Golfo c’è una nave ospedale con 1000 posti letto, che di sicuro non saranno occupati da soldati iracheni. Inoltre non si fa menzione del numero delle bare pronte per portare eventuali caduti, ma nei preparativi della guerra è compreso anche questo. Dovrebbe far riflettere chi, nei Paesi occidentali, è favorevole ad un intervento armato, perché la guerra si ripercuoterà, con perdita di vite umane, anche sugli attaccanti”.

C’è poi chi accusa la Chiesa e il Papa di “pacifismo unilaterale”, di parlare solo contro la guerra in Iraq e di aver taciuto invece su Timor Est e altri conflitti…

“Sono rilievi infondati, che meriterebbero di essere approfonditi. Per esempio, e lo posso dire con personale conoscenza dei fatti, a Timor Est il Papa è andato nel 1989 per celebrare una Messa ed essere vicino al suo popolo, in un momento in cui Timor Est non era indipendente. La sua presenza lì era solamente l’espressione di quanto la Santa Sede stava facendo e ha fatto in favore dell’indipendenza. Sono stato 16 anni all’Onu e mentre chi doveva occuparsi dell’indipendenza di Timor Est non faceva niente, o solo dichiarazioni verbali, la Santa Sede lavorava indefessamente. Ma naturalmente questo non sta scritto sui giornali, la Santa Sede molte volte preferisce accumulare i rilievi o le accuse senza rivelare quanto fa nella discrezione e nel silenzio”.

Da una parte sono notevolmente aumentate le rappresentanze pontificie nel mondo, ben 178; dall’altra qualcuno contesta ancora la presenza della Santa Sede negli organismi internazionali. Come leggere tutto ciò?

“Il fatto che 178 Paesi sui 191 presenti all’Onu abbiano relazioni diplomatiche con la Santa Sede vuol dire che ne riconoscono la particolarità, sanno come è strutturata l’amministrazione centrale della Chiesa cattolica, ossia come entità riconosciuta da secoli come Stato sovrano. Da parte degli Stati membri non c’è mai stata nessuna contestazione sulla presenza della Santa Sede; anzi, l’auspicio è che essa diventi addirittura membro dell’Onu. Invece c’è stata contestazione da parte di qualche organizzazione non governativa, perché la Santa Sede propone quelle verità morali, accettabili e comuni a chi condivide la natura umana, che però non sono gradite a queste organizzazioni, paladine della difesa dell’aborto. Nelle grandi conferenze internazionali la Santa Sede viene invitata come membro a pieno titolo, perchè fa parte delle agenzie dell’Onu. In queste sedi abbiamo difeso le nostre posizioni, con l’appoggio di numerosi Paesi. La democrazia che invocano queste ong non viene rispettata da loro stesse quando chiedono che la Santa Sede, non condividendo le loro posizioni, sia azzittita e cacciata dal consesso dell’Onu”.

Come andrebbero riformate, a suo parere, le Nazioni Unite?

“Già Giovanni XXIII nella ‘Pacem in terris’, e ora Giovanni Paolo II, auspicano una nuova organizzazione della famiglia umana che non sia una forma di super-Stato globale ma un modo più democratico di esercizio dell’autorità internazionale. Durante i 16 anni che ho trascorso alle Nazioni Unite questi passi di maggiore efficienza sono stati fatti. Certo, essendo una organizzazione umana, avrà sempre bisogno di essere migliorata, riformata. Di solito uso due immagini per definire l’Onu: la prima è quella di uno specchio, l’Onu è lo specchio del mondo, se è brutto rifletterà un’immagine brutta del mondo; l’altra è quella di un pronto soccorso o di un ospedale, se viene portato un ammalato grave e poi muore non si distrugge tutto l’ospedale ma si cerca di capire le ragioni per cui quella persona è morta per migliorare i servizi”.

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