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La giustizia in un Paese civile è qualcosa di terribilmente serio

di Umberto SantarelliÈ una notizia di quelle che «fanno notizia», e sulla quale mette conto ragionare un momento. Alla vigilia della scadenza del suo mandato, il Governatore dell’Illinois Gorge H. Ryan, avvalendosi dei suoi poteri quasi sovrani, ha commutato tutte le 156 condanne a morte che erano ancora in attesa di esecuzione nel suo Stato in altrettanti ergastoli, graziando nel contempo altri quattro condannati a morte, che nel frattempo erano risultati innocenti.

Quel che meraviglia ancora di più è che il Governatore, nel 1998, quando si presentò candidato, esibì agli elettori un programma nel quale si diceva che la condanna a morte in certi è necessaria; e l’altro giorno, quando ha levato d’autorità la scure di mano al boia, ha detto altrettanto pubblicamente che nel frattempo le sue idee non sono cambiate.

Il suo provvedimento ha un’altra giustificazione che lo ha reso necessario. Quel gesto, che ha voluto essere non di clemenza ma di giustizia, si spiega pensando ai difetti della giustizia americana, al pregiudizio razzistico che l’avvelena, al disinvolto ricorso alla tortura nell’interrogare gl’imputati che priva di ogni valore giuridico e morale i risultati delle istruzioni probatorie.

In questi quattro anni di governo, ha detto Ryan, la sua preoccupazione più grossa era rappresentata dal pericolo che un solo innocente potesse finire ammazzato ingiustamente (dove «ingiustamente» vuol dire soltanto: in modo illegale) per un errore incolpevole o perché stritolato da un sistema giudiziario manifestamente iniquo. Quella sola possibile morte d’un innocente ha turbato i sonni del Governatore. Che Dio gliene renda merito. E nessuno pensi che il farmacista Ryan (è questa la sua disarmatissima professione) sia un intellettuale di sinistra alla ricerca di notorietà a buon mercato tra i rivoluzionari da salotto di Chicago. È un vecchio repubblicano tutto d’un pezzo, ma che cerca di ragionare pacatamente.

L’amministrazione della Giustizia, in un paese che pretenda di chiamarsi civile, è una cosa terribilmente seria; molto più seria che il corretto esercizio della funzione legislativa: perché, malgrado quel che di solito si crede e si ripete, si fa molto più danno con le sentenze inique che con le leggi ingiuste. Lo dimostrò in modo luminoso una buona parte della Magistratura italiana nel 1938 e dopo, quando fu chiamata ad applicare le leggi razziali e seppe trovare mille modi per frenarne la barbarie distruttiva.

Sarebbe bene ricordarsene ora, quando tante volte si dicono dei nostri giudici cose prive di senso solamente per avere argomenti con cui nutrire polemiche non sempre limpidissime.

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