Cultura & Società
La «Giuseppe Verdi» di Castelnuovo Garfagnana
di Sara D’Oriano
Marzo 1801. È in questa data che il capo della Legione comandante la Guardia nazionale della Garfagnana, Giuseppe Vanni, determinò di affidare ai capi di battaglione l’incarico di aprire una sottoscrizione per «Suonatori di Flauto», che avrebbero dovuto essere inseriti nel corpo bandistico legionario. Nasce così quella che poi diventerà la Banda «Giuseppe Verdi» di Castelnuovo in Garfagnana (LU). Agli inizi, la banda ebbe una connotazione non solo artistica, ma anche militare: essendo la Guardia del Corpo del Duca nei suoi periodi in Garfagnana, godeva di notevoli privilegi, come il porto d’armi e la licenza di caccia gratuiti. Formata da più di 20 elementi, inizialmente la banda fu impiegata in numerose feste religiose e poi col tempo riconobbe un ruolo importante anche in situazioni di carattere civile, come ad esempio quella del 24 luglio 1848, giorno in cui il Granduca di Toscana Leopoldo II visitò la Garfagnana. Nel 1857, un altro nobile, il duca Francesco V, donò alla banda una discreta somma di denaro, gesto che accadde in un periodo di polemiche, che però non impedirono al comune, nel 1858, di istituire una scuola di musica vocale e strumentale. Nel 1866, nuovi strumenti giunsero dalla allora conosciuta ditta Pellitti di Milano, voluti appositamente dal nuovo governatore della Garfagnana, mentre qualche anno dopo la banda «Giuseppe Verdi» divenne a tutti gli effetti comunale, e nel 1890 fu per la prima volta riconosciuta ufficialmente come «Società Verdi». 80 elementi, una banda importante che però conobbe una grave crisi negli anni fra le due guerre, quando un documento, importante per lo spaccato che rende della società dell’epoca, stilato dai presidenti delle bande della zona della Garfagnana, definì il complesso: «piccolo concerto ricreativo che presta gratuitamente l’opera sua», disconoscendone così la funzione sociale e l’importanza che fino a quel momento aveva ricoperto sui monti della Garfagnana, colpiti, come tutte le zone di montagna, da una «emigrazione continua».
La guerra mise a dura prova l’attività bandistica, che però riuscì garantire i servizi tradizionali, mentre fu paradossalmente negli anni 70 del secolo scorso che l’associazione musicale venne disciolta, a causa della carenza di una sede sociale. Ma non per molto. Qualche anno dopo riprese l’attività e oggi, oltre al valore storico che giustamente le viene riconosciuto, e che ci permette di avere un importante spaccato sociale e culturale oltre che tradizionale degli ultimi due secoli di vita della nostra regione, questa esperienza continua con la sua presenza ad adempiere l’impegno a favore di una società più unita, e soprattutto attenta a preservare le ricchezze culturali tradizionali che col tempo rischiano di perdersi.