Italia
La Fontana di Trevi in rosso per i cristiani perseguitati: il sangue dei martiri non è un film
È lontana la dolce vita questa sera. Nel canto dello scorrere dell’acqua non c’è traccia del bagno della Eckberg e Mastroianni, ma quando sui marmi della fontana di Trevi passano le immagini terribili delle violenze contro i cristiani nel mondo, il bianco si tinge di porpora: il sangue dei martiri di oggi. Una convinta partecipazione ha segnato l’iniziativa promossa da Aiuto alla Chiesa che soffre che, per ricordare i 200 milioni di persone perseguitate a causa della loro fede, ha illuminato di rosso una delle fontane più celebri del mondo.
Prende la parola monsignor Nunzio Galantino, Segretario generale della Cei: «Il Papa ci ricordava che l’indifferenza fa tanto male e tante vittime quanto le armi. Ebbene, noi spesso siamo impotenti di fronte alle armi, ma contro l’indifferenza possiamo fare qualcosa: siamo qui per dare una vicinanza seria a quanti stanno soffrendo».
La grande scenografia monumentale si trasforma in uno schermo gigantesco su cui scorrono i visi delle suore uccise in Yemen, i corpi degli studenti trucidati in Pakistan, le macerie dei bombardamenti ad Aleppo, i crocifissi spezzati e gettati a terra in tutti i luoghi dove essere cristiani è uno stigma da cancellare nel sangue. Sulle pareti bianche non passano i fotogrammi di un film, ma la cruda verità degli studenti senza vita, riversi tra i banchi e le sedie capovolte: si trafigge chi studia perché colpire le scuole è colpire il futuro.
Nel silenzio si leva l’esortazione del cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere maggiore: «Facciamo memoria, questa sera, del sangue dei martiri cristiani, versato per la violenza degli uomini e il peccato nel mondo. Come sostiene Papa Francesco, anche il silenzio e l’omertà sono peccato!».
Un pensiero attraversa alcuni: cosa capiranno i molti turisti che affollano le balaustre?
Forse penseranno si tratti di uno spettacolo, forse di una pubblicità, ma poi il vociare si azzittisce e quelli che prima si limitavano a fotografare ora chiedono, si informano, annuiscono. «Noi la domenica scegliamo magari la Messa più comoda, la più corta – ammonisce Alfredo Mantovano, presidente di Acs -, e non pensiamo che ci sono luoghi dove c’è chi fa chilometri a piedi solo per poter assistere a una Messa. Una sola». Le finestre dei palazzi intorno si illuminano e si animano. I curiosi prima si affacciano e poi restano lì ad ascoltare le deposizioni cristalline e durissime di chi spiega come in molti Paesi i seguaci di Cristo sono cittadini di seconda classe e «c’è sempre paura, ma noi cristiani dobbiamo aver fede».
Colpisce la serena fermezza con cui dal palco i testimoni raccontano atrocità e prove altrimenti inenarrabili, senza mai usare parole di odio verso i persecutori. Esemplare la compostezza di Maddalena Santoro, sorella del don Andrea assassinato in Turchia. Ed è bianco candido che sembra nuovo l’abito orlato di blu della consorella delle quattro suore della carità uccise in Yemen. Parlando di loro ne ricorda l’allegria, l’aneddoto gioioso del battere le mani «come i bambini quando sono contenti» e con semplicità narra di quel che è accaduto al momento dell’attentato: «stavano solo facendo il loro lavoro: accudire la comunità». Alla vigilia di un primo maggio spesso ridotto solo a festival, commuovono il significato e l’elementare chiarezza di queste poche parole.
Nell’attimo in cui la fontana passa dal blu televisivo al rosso fuoco un bimbo finora silenzioso, seduto con le gambette penzoloni e la bocca spalancata a guardare quel che accade, si lascia scappare grida di stupore. Nello stesso momento scattano i telefonini all’unisono, ma gli schermi per quanta definizione possano avere non riescono ad assorbire l’emozione fortissima che attraversa la piazza. Nell’acqua che scorre rossa, restando trasparente sulle volute delle statue, si coglie la necessità impellente di non coprire la verità. Quella verità chiesta e invocata dal vescovo caldeo di Aleppo, monsignor Antoine Audo: «il silenzio sullo sterminio dei cristiani in Siria è una vergogna per tutta l’Europa e una perdita per tutta l’umanità».
Arriva il momento della preghiera finale, si potrebbe leggere proiettata sulla fontana, ma i più abbassano la testa e chiudono gli occhi, facendosi cullare dalla recita della morbida cantilena, nell’italiano a tratti incerto, del giovane sacerdote iracheno in procinto di tornare nel suo Paese. Con la sola forza della fede.
Alla benedizione finale la folla si segna, in un’armonia di gesti condivisi e, per qualcuno, ritrovati. Ite, missa est.