Quando subì il martirio, sotto Diocleziano, Pancrazio era un giovane. Ma era maturo nella fede ed anche come «personalità». Tempi in cui i giovani avevano esperienze precoci e la vita «quotidiana» era vissuta come una «quotidiana» maturazione. Sestino ha in San Pancrazio il suo patrono ma tante parrocchie limitrofi hanno il Santo titolare in un martire della prima cristianità. Il sangue che genera «vita». Non è stata la spada imperiale o il volere dei potenti della terra a frenare l’espansione di una nuova spiritualità, testimoniata giorno per giorno.Il coraggio e il richiamo alla coerenza dell’essere cristiani sono stati un po’ il filo conduttore della festa patronale di quest’anno. Nella antica Pieve, sui ruderi romani che reggono la nuova struttura, è cresciuta la «nuova» Chiesa. Lo «spazio» della liturgia è già un abbecedario folgorante: il catino dell’abside è un grande abbraccio al Cristo Risorto: una antica tradizione locale, infatti, vuole la statua del Cristo risorto innalzata sull’altare, per sfondo una «nuvola» composta dal candore di un manto splendente; Cristo mostra il vessillo delle vittoria – resterà a indicare quel messaggio fino alla Ascensione – e sembra anch’esso ripetere: «Non abbiate paura».Giù nella navata il bel quadro settecentesco della scuola di Gaetano Lapis descrive il martirio di Pancrazio: al centro il giovane che porge il suo corpo sotto il balenare di una spada brandita da una figura erculea, tutto attorno soldati e, in lontananza, discepoli che assistono trepidanti. Da quell’altare San Pancrazio guarda i giovani di Sestino che entrano in chiesa. E addita loro il cammino che anche oggi sono – e siamo- chiamati a percorrere, in una società paganeggiante: non devono far paura la spada del potere o le sue sirene: piuttosto quella docilità al richiamo del Golgota dopo due millenni non è un semplice dato storico.G.R.