Lettere in redazione

La festa del servizio civile e la cultura della pace

Caro Direttore,con molto piacere ho accompagnato il 28 marzo scorso i miei giovani all’udienza del Santo Padre. Una mattinata se vogliamo anche piacevole, dove l’attesa è stata gioiosa e fraterna, aiutata da canti convolgenti e significativi. Le sciarpe bianche, i discorsi governativi e le parole non certo banali del Sommo Pontefice, possono soddisfare e sfamare tante futili ambizioni, ma non sono tutto. Nell’incontro nella sala Nervi, ad esempio, mi è mancato l’essenza del servizio civile. Quando parliamo di educazione alla pace e di ciò che sostituisce il servizio civile, non possiamo lasciare fuori don Mazzolari, che parlava senza peli sulla lingua, don Milani, che veniva condannato per delle ragioni sacrosante, fino al prof. Fabrizio Fabbrini che si è fatto il carcere, e tanti altri sostenitori del servizio ai più deboli per un mondo di pace.

Non rimpiango di esserci stato a questo incontro romano del servizio civile, ma ai miei giovani parlerò di queste persone che hanno dato tanto al nostro Paese e sopratutto all’essenza del nostro essere cristiani volontari della Misericordia.

Giancarlo GuivizzaniFaella (Ar)

Lo scorso 28 marzo 7 mila giovani in servizio civile sono stati ricevuti dal Papa nell’Aula «Paolo VI», in Vaticano. A loro si erano aggregati anche volontari della Croce Rossa e delle Misericordie. È stata soprattutto una festa, arricchita però dalle parole del Papa. L’iniziativa, voluta dall’Ufficio nazionale per il servizio civile, è stata sicuramente positiva. Può darsi che nei discorsi ufficiali si sia sottolineato poco gli aspetti di cui lei parla, caro Guivizzani. Ma il Papa, nel suo discorso – citando la «Gaudium et Spes» – ha richiamato con forza l’impegno dei cristiani nella costruzione della pace. E ha invitato i giovani ad essere «sempre e dappertutto strumenti di pace, rigettando con decisione l’egoismo e l’ingiustizia, l’indifferenza e l’odio, per costruire e diffondere con pazienza e perseveranza la giustizia, l’uguaglianza, la libertà, la riconciliazione, l’accoglienza, il perdono in ogni comunità». In questo mi sembra che abbia colto bene anche il passaggio dall’esperienza dell’obiezione di coscienza al servizio militare a questa – nata dopo la fine della naja – del servizio civile volontario. Un’esperienza che affonda certamente le sue radici nella cultura della pace, ma che è più connotata per le sue dimensioni di servizio al prossimo, nella consapevolezza, come ha detto il Papa che «combattere la povertà è costruire la pace».

Il volontariato è un dato caratteristico di questo nostro tempo che ha nella Misericordia, per così dire, il motore primo. L’importante è mantenerne integro lo spirito e non staccarlo dalle sue origini cristiane. Ben vengano quindi questi incontri, soprattutto per presentare il volontariato, in particolar modo ai giovani, che spesso ricercano possibilità di impegno più di quanto si possa pensare.

Alberto Migone