Opinioni & Commenti
La felicità? Si realizza con azioni virtuose
di Adriano Fabris
Ci sono parole che sembrano ormai passate di moda. E invece, poi, le troviamo di nuovo all’onor del mondo, usate nel dibattito pubblico, presenti ancora nel vocabolario comune. È il caso del termine «virtù». Da un po’ di tempo, infatti, si riparla di questa nozione. Mons. Ravasi, in un fortunato libro di qualche anno fa, ne celebrava il «ritorno». Sul piano della riflessione morale, nel contesto anglo-americano, questo concetto è di nuovo alla ribalta. In alternativa a una legittimazione dei nostri comportamenti basata su regole universali, che dovrebbero di volta in volta essere applicate alle situazioni concrete, l’etica delle virtù parte proprio da queste situazioni e trova nell’individuazione di comportamenti buoni il criterio di orientamento, la bussola che consente di compiere le proprie scelte. Ben ha fatto dunque Toscana Oggi, nel percorso quaresimale, a dedicare attenzione a questo tema, e a recuperare il significato sia delle antiche virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), sia di quelle teologali (fede, speranza, carità).
Ma, appunto, si tratta solo di qualcosa di «antico», per non dire di «vecchio», che per i corsi e ricorsi della moda è tornato interessante ai nostri giorni? O abbiamo a che fare, qui, con indicazioni di comportamento che possono essere utili per indirizzare la stessa vita di oggi? E, di conseguenza, parlare nuovamente di «virtù» può essere legittimo e valido anche all’interno di una dimensione educativa? Le virtù, in altri termini, possono ancora fornire modelli per l’agire dei nostri ragazzi o si tratta, nonostante gli sforzi di filosofi e teologi, di un tema che nel nostro mondo, concretamente, non ha più presa?
Certo: la ricerca sulle virtù è un lascito del mondo greco e romano; l’articolazione di esse in virtù cardinali (che offrono orientamento per una vita buona) e teologali (che riguardano anzitutto la relazione fra umano e divino, e movendo da qui sono in grado di guidare e motivare i rapporti interumani) risale ai primi scrittori cristiani. Nella realtà contemporanea, in cui predomina sotto molti aspetti un’indifferenza nei confronti non solo delle questioni religiose, ma delle prospettive di scelta che ci vengono offerte, pare interessi poco, o non interessi affatto, in che modo formare alla virtù il proprio carattere. I nostri stessi ragazzi – ve ne siete accorti? – non vogliono scegliere. Anzi: spesso lasciano ad altri decisioni che riguardano la loro stessa vita. Forse per paura di prendersi delle responsabilità. Forse consapevoli che la situazione in cui viviamo, almeno nel nostro paese, è oggi una situazione bloccata: e dunque anche le scelte che possono essere fatte non sono in grado, più di tanto, di cambiare le cose.
C’è tuttavia un elemento su cui far leva per rovesciare questa rassegnata stagnazione, e per rimettere le cose in movimento: recuperando il gusto della libertà e, con esso, il gusto di agire secondo virtù. È l’emergere del desiderio, è l’aspirazione alla felicità che anima i nostri comportamenti. Si tratta di un aspetto che gli antichi avevano ben chiaro e che oggi va ripreso: il fatto cioè che la felicità si realizza mediante un’azione virtuosa, e si consolida e si perpetua attraverso la formazione del carattere.
Non si tratta di un discorso moralistico. Infatti la felicità non è il conseguimento di un piacere a tutti i costi, non è la possibilità di fare tutto quello che uno vuole. Felicità significa invece una condizione di vita equilibrata, capace di trovare in sé la propria misura e il proprio limite, e nel carattere i punti di forza che consentono di realizzarla. Ma questa vita equilibrata è appunto una vita condotta su di una base di prudenza, animata da un senso di giustizia, forte nei suoi orientamenti e misurata nelle proprie pretese. È una vita che si apre fiduciosa all’alterità, capace di amore e di speranza. In una parola: è una vita secondo le virtù della nostra tradizione. Proprio il contrario di quell’atteggiamento indifferente che paralizza oggi i comportamenti di molti.