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La famiglia non può essere merce di scambio

Hanno fatto scalpore le dichiarazioni di Romano Prodi, all’inizio del suo percorso di candidatura verso le politiche 2006, a proposito dei Pacs, cioè delle forme di riconoscimento civile delle coppie di fatto. Prima di tutto per la scelta dell’interlocutore.

Il destinatario della lettera è, infatti, uno dei capofila delle rivendicazioni per il matrimonio omosessuale.E poi per l’impressione di fare di tutt’erba un fascio. Impressioni di fatto confermate (ed aggravate) dalla prontissima replica di Franco Grillini che non esita a rivendicare questo passaggio come una storica tappa per il movimento di cui è leader.

Se ci sono alcune cose chiare nel guazzabuglio del dibattito politico italiano, una di queste è certamente che il Paese non ha alcuna velleità zapateriana. Innanzitutto perché la sinistra italiana ogniqualvolta si è lasciata tentare da seduzioni radical–secolariste ha dovuto pagare pegno, come recentemente è stato autorevolmente e sinceramente riconosciuto.

In secondo luogo, perché la stessa esperienza spagnola dimostra che quella del matrimonio omosessuale non è un’esigenza diffusa nella società, ma una istanza ideologica e settoriale.

E qui sta il punto, non solo nel caso italiano, come dimostra anche la recente vicenda californiana.Non appare in alcun modo giustificabile incutere un «vulnus», come si diceva nel linguaggio aulico, oppure più sbrigativamente uno «sbrego», ad una istituzione più che millenaria come la famiglia, come elemento essenziale di civiltà e di civilizzazione, per venire incontro a rivendicazioni di persone o gruppi più o meno significativi. Questo è il problema politico nel senso sostanziale del termine, il problema «costituzionale».

La famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna è una delle istituzioni irrinunciabili della nostra civiltà. Non è un bene disponibile per nessun singolo o nessun gruppo organizzato. Insomma: giù le mani dalla famiglia e dal matrimonio.

Questo significa anche che bisogna vigilare con la massima attenzione a che il «vulnus» o lo «sbrego» non avvenga per dosi omeopatiche, attraverso la vecchia politica dei piccoli passi, prima equiparando nei fatti, poi in termini di diritto la famiglia ad altre forme di unione.È giusto che poi i singoli possano esprimere i propri diritti: lo spazio lasciato dal diritto civile e dalla creatività dei giuristi è molto ampio, purché non si vada a mettere in discussione valori e principi essenziali non solo per il bene comune, ma per la sussistenza stessa della società.

Su questo elemento essenziale bisogna uscire una volta per tutte dalla melassa indistinta del politicamente corretto, dei casi pietosi, dei diritti dei singoli. È tempo di scelte: ognuno le faccia e se ne assuma la responsabilità storica.