I nostri giovani, spesso gaudenti e disperati, hanno sete di bellezza e di verità, di pienezza e di felicità. E se il bello è lo splendore del vero, diventa essenziale annunciare loro tutte le argomentazioni (anzitutto quelle razionali e umane) che ci spingono, in questo delicato frangente della storia, a difendere con forza la famiglia naturale fondata sul matrimonio di un uomo e una donna.Benedetto XVI, in dialogo con i giovani il 6 aprile 2006, spiegava che «l’amore esclusivo tra un uomo e una donna, la vita a due disegnata dal Creatore» diventano possibili quando ci lasciamo «impiantare un cuore nuovo». E’ un cammino di crescita che comporta anche «disciplina e rinunce», come del resto ogni cosa che abbia valore: ma è in quella strada che si raggiunge una vita «veramente umana e felice». E’ la «vera felicità» di cui più volte ci parla il magistero (cfr. Veritatis Splendor n. 120, Humanae Vitae n. 31). Non si tratta di mortificare o rifiutare l’eros, chiarisce Benedetto XVI, ma di maturarlo e «guarirlo in vista della sua vera grandezza» (Deus caritas est n. 5).Giovanni Paolo II ha speso un numero imponente di catechesi nell’insegnarci ad «amare l’amore umano», e lo ha fatto proprio nella consapevolezza di quanto i giovani cerchino la bellezza nell’amore. Non è vero dunque che l’insegnamento della Chiesa, in materia di famiglia e di amore coniugale, è lontano dalle esigenze dell’uomo moderno: «esperta di umanità» (stupenda definizione di Paolo VI), la Chiesa si ostina a credere nelle capacità dell’uomo redento da Cristo e a proporre – nel suo ruolo profetico – sempre ciò che è il bene della persona.Andrè Fossard, il grande convertito francese, affermava che «la gioventù si onora chiedendole molto»: dobbiamo far capire ai giovani che, nella costruzione dell’amore a due, la loro esigenza di infinito trova la risposta autentica e più bella nell’esperienza precisa del matrimonio, in quella promessa forte dove l’amore «mira all’eternità» e non si identifica nella contingenza del desiderio, ma «diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato; diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca» (Deus caritas est n. 6). Quando la relazione viene impostata su questo spessore impegnativo, la famiglia si pone allora come uno speciale «laboratorio» la cui ricchezza inestimabile interpella la società.E’ un laboratorio perché qui si plasmano i cuori degli sposi e quelli delle nuove generazioni, qui si elaborano modelli indelebili nelle mani dei figli, si trasmettono una serie di valori civili che sono pilastri della collettività, qui si apprende il senso dell’esistenza, qui si costruiscono il futuro e la speranza. Questo tipo di famiglia è una «comunità di persone a servizio dell’uomo» – spiega Familiaris Consortio – che ha la missione di «custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità». All’interno di tale laboratorio si imparano la carità e la bontà, si sperimentano la fragilità e la fatica, si fa esercizio del perdono, insieme si fa palestra di riconciliazione. In definitiva, è dentro questa pulsante cellula di società che si concepisce la pace cui aspirano i popoli.La coppie che si incamminano nella donazione «per sempre», esclusiva e totale, vivono la loro ricerca della verità in un confronto quotidiano, dove lo sguardo sul reale viene illuminato dalla Parola di Dio ed accompagnato dalla potenza rivoluzionaria del Rosario. L’amore umano realizza così la risposta concreta ad un altro amore, quello con cui Dio – gratuitamente – per primo ci è venuto incontro (Deus caritas est n.1); e la fedeltà degli sposi agisce come una forza vitale, una testimonianza fondamentale per l’equilibrio e la serenità dei loro figli.Nel dispiegarsi di questa dinamica virtuosa, la famiglia diventa «luogo di cultura» anche perché l’esperienza quotidiana nella concretezza esigente dell’amore, conduce di solito a sviluppare una maturità e saggezza che sono il primo baluardo contro l’ingresso delle ideologie e dell’opinionismo. Mentre è compito urgente della politica creare le condizioni affinché i nostri giovani possano formare famiglie ed aprirsi alla vita, tocca a noi – nella formazione della loro coscienza morale – aiutarli a recuperare il desiderio per la generazione, suscitando in loro il fascino per questa meravigliosa vocazione. Dobbiamo aiutarli a capire che l’unione stabile di un uomo e una donna, legati nel profondo da una relazione d’amore, è il contesto in cui ha diritto di nascere ogni bambino; poiché la famiglia è l’ambito in cui si viene al mondo mediante l’atto coniugale degli sposi, è la sorgente inesauribile della vita. Amore e vita: due dimensioni inscindibili anche nella struttura naturale dell’uomo, come Dio l’ha sapien- temente pensata. Soltanto in questa «intima comunità di vita e di amore», come la definisce Familiaris Consortio, si può realizzare in pienezza l’identità della donna nella sua altissima dignità di madre e di sposa.La Bibbia ci racconta che Dio vide che tutto ciò «era cosa molto buona». Ma è sufficiente uno sguardo laico per accorgersi come questo matrimonio porti in sé un valore intangibile (ed ineguagliabile) che costituisce il bene sia per la pienezza della vita personale, sia per la solidità delle famiglie sia, in definitiva, per la salute della società. Noi parliamo in particolare del matrimonio cristiano, dove la promessa è fatta davanti a Dio Padre, mediante un sacramento la cui grazia trasforma nell’intimo. E dove l’invitato più importante alle nozze è Gesù: l’unico maestro capace, con la sua Parola, di trasformare l’acqua in vino e di rendere la gioia degli sposi incorruttibile nel tempo.Nello scontro a cui stiamo assistendo, invece, c’è una parte della società che intende promuovere un nuovo tipo di relazioni fondate sul disimpegno e sulla de-responsabilizzazione. Noi sappiamo che quando la famiglia si imposta fin dall’inizio sulla precarietà e sul consumismo dei sentimenti, più facilmente i legami franeranno; più facilmente i figli saranno visti come un peso, nell’ottica della massimizzazione del benessere. E su questa strada la società proseguirà la sua lenta, sterile decadenza. Noi crediamo, cioè, che a salvare il mondo non sarà né la liquidazione delle leggi di natura, né il riconoscimento di un «amore debole» bensì l’affermazione della bellezza che sta dentro un amore totale, esclusivo, indissolubile; la riscoperta di un amore che non si riduce alla chimica dei sentimenti ma avverte il mistero che sta al fondo dell’uomo; un amore che sgorga dalla passione e dalla libertà ma si forgia ogni giorno nella volontà e nella ragione.Benedetto XVI, ancora nel suo dialogo con i giovani, li confortava spiegando che in realtà «ci sono tante famiglie cristiane che vivono con fedeltà e con gioia la vita e l’amore indicati dal Creatore e così cresce una nuova umanità». Di fronte alle pressioni mediatiche e culturali che si pongono oggi da ostacolo, ribadisce il Pontefice, «dobbiamo avere il coraggio di creare isole, oasi, e poi grandi terreni di cultura cattolica, nei quali si vive il disegno del Creatore». Molte ce ne sono sparse per l’Italia di queste isole, ma di solito non fanno notizia. Così, pure nella mia diocesi ho la fortuna di seguire da vicino diverse realtà assai vive, dove giovani famiglie di laici, anche in forma associativa, portano avanti questa sorta di «resistenza culturale» facendosi guida – con la loro esperienza – per altre famiglie e realizzando quell’«apostolato tra i focolari» di cui già quarant’anni fa parlava l’enciclica Humanae Vitae. Maritain, in una lettera a Paolo VI del 1965, affermava che nel futuro saranno questi laici «con la loro vita familiare e di lavoro, con la loro amicizia, la loro cultura e spiritualità a rendere presente il Vangelo». Come un tempo toccò «ai monasteri in un mondo ostile e imbarbarito, domani saranno le famiglie e le piccole comunità di laici cristiani a costruire una costellazione di focolari per mantenere viva la fiamma della fede e della preghiera. Nel migliore dei casi – concludeva il filosofo – questi focolai di luce spirituale dispersi nel mondo diverranno un giorno come il fermento che farà lievitare tutta la pasta. Nel peggiore dei casi costituiranno una diaspora più o meno perseguitata, grazie alla quale la presenza di Gesù e del suo amore dimorerà, malgrado tutto, in un mondo apostata».