Vita Chiesa
La Dottrina sociale in un Compendio
Alla radice dell’indifferenza etica e religiosa c’è la separazione tra etica e politica e la convinzione che le questioni etiche non possano aspirare a uno statuto pubblico, non possano costituire l’oggetto di un dibattito razionale e politico in quanto sarebbero espressioni di scelte individuali, addirittura private. Lo ha detto il card. RENATO RAFFAELE MARTINO, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, presentando il 25 ottobre il Compendio della dottrina sociale della Chiesa: un volume di 505 pagine (diviso in tre parti, più l’introduzione e la conclusione, e 12 capitoli), di cui 319 di testo e le rimanenti formate da un dettagliato corpus di indici, dei riferimenti e analitico.
Né un Bignami, né un catechismo, ha precisato il cardinale illustrando alla stampa il testo, senza precedenti nella storia della Chiesa, in cui non c’è niente che non sia stato detto dai Papi sul magistero sociale di quest’ultima. Il Compendio elaborato dal citato dicastero pontificio e frutto di oltre cinque anni di lavoro – è ora disponibile nelle edizioni in inglese e in italiano, ma presto arriveranno nelle librerie le versioni in lingua spagnola, francese e portoghese; in via di pubblicazione anche quella tedesca.
Mons. GIAMPAOLO CREPALDI, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, ha confermato che il Compendio ripropone il magistero consolidato in materia e costituisce un incoraggiamento verso l’abolizione della pena di morte. La Chiesa vede come un segno di speranza la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte si legge, infatti, al n. 495 del Compendio – in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi.
Riguardo alla questione della guerra preventiva, Martino rispondendo ad una domanda di un giornalista ha precisato che, anche se non si condanna esplicitamente, si capisce che non è una bella cosa, e che ogni legittimazione morale e giuridica non convince. Nel Compendio, al n. 501, si fa notare che un’azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata, non può non sollevare gravi interrogativi sotto il profilo modale e giuridico, e subito dopo si aggiunge: Solo una decisione dei competenti organismi, sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, può dare legittimazione internazionale all’uso della forza armata, identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un’ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato.