Lettere in redazione

La Dottrina sociale in parrocchia

Caro direttore, ancora una volta Domenico Delle Foglie, con l’editoriale dell’ultimo numero (Vuoti politici e silenzi assordanti interpellano i cattolici), colpisce nel segno e colpisce duro, com’è giusto che faccia, stante l’importanza e l’urgenza del tema trattato, vale a dire «come i laici cattolici interpretano – o non interpretano – il loro ruolo di “concretizzatori” della Dottrina sociale della Chiesa».

Se mi è concesso, però, vorrei associare alle responsabilità dei laici anche quelle della gerarchia, non per sminuire le prime, ma per affermare il principio che, se vogliamo che la risposta dei cattolici in politica non sia marginale, occorre che questa abbia anche una dimensione quantitativa ben diversa dall’attuale; occorre cioè che la Dottrina sociale della Chiesa smetta di essere materia riservata alle élite del cattolicesimo (intellettuali e «alcune» associazioni laicali) e diventi terreno quotidiano d’impegno, di crescita e di azione per l’intero popolo di Dio (quello della Messa della domenica).

C’è, quindi, tutto un lavoro pedagogico e di sensibilizzazione da fare verso chi non frequenta circoli culturali o politici, non legge la stampa cattolica nazionale o regionale, non ha mai sentito parlare di argomenti come le «settimane sociali», ha sentito dire che il Papa ha scritto una Enciclica sociale, ma neanche immagina che sia stata scritta anche per lui e che riguardi argomenti e ambiti della sua vita di tutti i giorni.

A tutti questi nostri fratelli si può arrivare solo attraverso la rete delle parrocchie. Purtroppo sappiamo bene che questi temi in parrocchia non arrivano, non se ne parla: per il popolo della Messa della domenica, che mi sembrerebbe altrettanto degno di amore, rispetto e considerazione (quante volte si è sentito dire che «la Chiesa siamo noi») la vita cristiana non ha nulla a che fare con la politica, dalla quale anzi bisogna guardarsi perché «è sporca e divide»! È solo una mia sensazione? Ne sarei sinceramente felice, ma temo che se facessimo una ricerca demoscopica seria avremmo solo delle conferme.

Ecco perché la questione chiama in causa vescovi e parroci: spetta a loro la formazione delle coscienze, formazione dalla quale non può evidentemente escludersi la dimensione sociale. Temo che non vi siano scorciatoie: se non si passa da un’azione «educativa» che investa tutto il popolo di Dio, senza discriminazioni, il Santo Padre potrà continuare a fare appello alla chiamata di ogni cristiano a questa carità (cfr. Caritas in Veritate 7), il cardinale Bagnasco potrà continuare a sognare, ma la cosa pubblica rimarrà in mano a persone… scarsamente motivate al bene comune.

Marco Parriniindirizzo email

Non posso che essere d’accordo, caro Parrini, soprattutto sul fatto che certi temi e certe riflessioni debbano arrivare al «popolo della Messa della domenica». C’è semmai da dire che il problema non sta nella gerarchia, che i documenti e la riflessione li produce, eccome. Basti pensare, oltre alle iniziative e ai testi da lei citati, al fatto che la Chiesa italiana sta dedicando questo decennio proprio alla «sfida educativa».

Il magistero è dunque abbondante, sia quello del Papa che quello dei vescovi, anche a livello locale. Il problema nasce quando questo magistero deve essere tradotto per quel «popolo della Messa della domenica» a cui lei fa riferimento. È qui che le parrocchie non fanno abbastanza.

Ma la colpa non può ricadere solo sui parrocci, il più delle volte anziani e oberati da mille problemi. Un po’ di responsabilità, anche nelle parrocchie, dovrebbero prendersela quei laici cosiddetti «impegnati». Forse spetta a loro sollecitare i «colleghi» della Messa domenicale. È ovvio che i parroci non solo non devono ostacolare queste eventuali iniziative dei laici, ma le devono favorire e sostenere con convinzione.

La parrocchia ha bisogno di tornare ad essere, magari in piccolo, uno di quei «luoghi», invocati anche da Domenico Delle Foglie, in cui parlare e confrontarsi anche sui temi sociali e sul bene comune di cui, non c’è dubbio, abbiano un po’ tutti perso il senso.

Andrea Fagioli