Toscana

La diplomazia parallela tra Prato e Baghdad

di Gianni RossiSe Maurizio Agliana, il pratese rapito in Iraq, verrà liberato insieme agli altri tre ostaggi sopravvissuti, forse il merito sarà anche dell’impegno della Chiesa cattolica. Fonti ufficiali, ovviamente non ci sono: la Santa Sede, attraverso i suoi uffici centrali e quelli periferici, si muove con grande riservatezza e cautela. Ma il ruolo svolto dal Nunzio apostolico a Baghdad mons. Fernando Filoni e dal Patriarcato di Babilonia dei Caldei (la Chiesa cattolica irachena) è più importante di quel che appare. Due elementi sono apparsi immediatamente significativi: la stima e la considerazione di cui gode la Chiesa in Iraq, particolarmente per la netta contrarietà alla guerra voluta da americani e inglesi, e la conoscenza e i contatti con i vari «filoni» del variegato mondo musulmano.

Il Vescovo di Prato, mons. Gastone Simoni, che subito si è messo in contatto con la S. Sede, ha fatto capire che il Nunzio apostolico, l’unico diplomatico rimasto a Baghdad sotto i bombardamenti, rappresenta uno dei pochi interlocutori credibili agli occhi degli islamici. Non è un caso che la S. Sede, senza clamori, si sia messa subito in moto ad esplorare le strade percorribili per la liberazione degli ostaggi. Certo, nessuno ha soluzioni magiche. Sabato 17 aprile il Nunzio affermava con molta cautela: «Mi pare che in questo momento abbiamo bisogno di valutare un po’ tutti questi aspetti (la situazione militare in Iraq e l’apprensione dei familiari, ndr), di ragionarvi sopra in modo da evitare che vi siano ancora situazioni che aggravino, che rendano più penoso il momento stesso». Ben cinque giorni prima della mossa del Governo italiano che, con l’autorizzazione del Comando americano ha allestito una spedizione umanitaria della Croce Rossa, Nunziatura e Patriarcato sono penetrati nell’assedio della città di Falluja. «I cristiani davanti all’assedio – racconta il nunzio nell’intervista – si sono posti il problema di cosa fare. E anche i musulmani se lo sono posto. Abbiamo pensato opportuno intervenire con gli aiuti umanitari, abbiamo raccolto parecchi viveri, alimentari e medicinali, e li abbiamo trasportati a Falluja. Insieme al vescovo mons. Warduni (caldeo cattolico, ndr), vi era un imam sciita ed un capo religioso sunnita. La gente è stata molto contenta di non essere stata abbandonata. La città praticamente era semivuota». Quale significato questa coraggiosa iniziativa possa aver avuto nella vicenda del rapimento è ancora tutto da capire.

L’Arciconfraternita della Misericordia, di cui Maurizio Agliana era «capoguardia», aveva subito attivato i propri canali con la Chiesa caldea. Mons. Simoni, invece, è stato costantemente in contatto con la Segreteria di Stato vaticana e con la Nunziatura a Baghdad. Contatti che non si sono limitati, ovviamente, a semplici informazioni. Lo stesso Simoni si era detto disponibile a raccogliere aiuti nel caso si rendessero utili per sbloccare la situazione. Domenica 19 aprile, poi, era giunto l’appello del Papa durante il «Regina Coeli».

Antonella Agliana: «Nessun odio per i rapitori»«Hanno in mano mio fratello, ma non li odio. Non c’è mai stato un attimo di rabbia nel mio cuore. Non lo dico per comodo o perché spinta dalla paura. Prego per Maurizio, ma prego anche per i suoi rapitori. Spero che presto tornino ad avere la pace, perché se c’è, la pace allora arriva anche per loro». Antonella Agliana (nella foto Cge), la sorella dell’ostaggio pratese, è divenuta un po’ la portavoce di tutte le famiglie dei rapiti. Il suo appello è stato trasmesso anche dalla tv araba Al Jazira. Alle tv e ai quotidiani ha consegnato queste parole piene di umanità e di speranza. E ai rapitori di suo fratello ha detto: «Spero che le mie parole aprano loro il cuore. Nelle mie preghiere chiedo che finiscano le sofferenze in quelle terra martoriata, che abbiano una vita migliore e possano essere felici. Mi piacerebbe potere pregare assieme agli islamici, in fondo chiediamo a Dio le stesse cose».La schedaAnnuncio videoLunedì 12 aprile l’emittente Al Jazeera trasmette un video con quattro italiani ostaggi di un gruppo che si definisce «Milizie Verdi di Maometto» e che chiede il ritiro immediato delle nostre truppe e le scuse di Berlusconi. I quattro italiani sono seduti a terra, con in mano i passaporti, circondati da combattenti iracheni con in mano i khalashnikov. Vengono costretti a pronunciare i loro nomi: sono Salvatore Stefio, 34 anni, originario di Catenanuova (Enna); Umberto Cupertino, 35 anni, di Sammichele di Bari; Fabrizio Quattrocchi, originario di Catania, e Maurizio Agliana, 37 anni, di Prato. Lavoravano per conto della Dts Security (Defense Technologichal Systems), una società con sede a Newtington in Virginia, che si occupa di sicurezza, ma non è chiaro quale fosse di preciso il loro incarico. Sono stati sorpresi dai guerriglieri mentre erano diretti ad Amman, in Giordania.«Muoio da italiano»Mercoledì 14 aprile la tv Al Jazeera annuncia di aver ricevuto un video, che ha deciso di non mandare in onda, nel quale è filmata l’esecuzione di uno dei quattro ostaggi italiani. Assieme al video anche un foglio in arabo con la rivendicazione: «Abbiamo ucciso uno dei quattro prigionieri italiani perché il presidente del Consiglio italiano Berlusconi ha annunciato che il ritiro delle truppe italiane non è all’ordine del giorno». Nella tarda serata, durante la trasmissione «Porta a Porta», il ministro Frattini annuncia che l’ucciso è Fabrizio Quattrocchi, ex panettiere di 36 anni, originario di Catania ma residente a Genova. È stato riconosciuto nel video dall’ambasciatore italiano in Qatar, Giuseppe Maria Buccino Grimaldi. Il giorno dopo, Frattini rivela, con il consenso della famiglia. «Questo ragazzo, quando gli assassini gli stavano puntando la pistola contro, ha cercato di togliersi il cappuccio e ha gridato: “Adesso vi faccio vedere come muore un italiano”».Appello su Al Jazeera«Siamo i parenti dei ragazzi che avete con voi. Siamo gente semplice come voi. Ci rivolgiamo alla vostra coscienza religiosa di credenti in un Dio chiamato diversamente del nostro, ma con molte radici in comune. Un Dio che noi rispettiamo». Inizia così il video trasmesso sabato dalla televisione satellitare del Qatar Al Jazeera nel quale Antonella Agliana ha letto un appello concordato con gli altri familiari dei rapiti. «Noi temiamo che il gesto che voi minacciate di compiere – prosegue l’appello – possa rivelarsi inutile e controproducente per la causa che voi sostenete. I nostri ragazzi sono partiti alla ricerca di un lavoro, senza alcun altro motivo ideologico. Anche voi siete genitori e potete capire la nostra angoscia. Risparmiate la vita dei nostri ragazzi che non hanno a che fare con la politica. Vi supplichiamo, fateli tornare al più presto». La supplica del Papa«Invito i rapitori a sentimenti di umanità. Li supplico di rendere alle famiglie le persone che sono nelle loro mani, mentre prego Dio misericordioso per le popolazioni della Terra Santa e dell’Iraq e per tutti coloro che in quelle regioni lavorano per la riconciliazione e la pace». Così Giovanni Paolo II, domenica 18 aprile, durante la recita del Regina coeli, si è rivolto a quanti tenevano in ostaggio i tre italiani in Iraq. Giovanni Paolo II, che ha detti di sentirsi «particolarmente vicino con il pensiero e la preghiera alle famiglie di quanti trepidano per la sorte dei loro cari», ha anche espresso «tristezza» per le «notizie tragiche che giungono dalla Terra santa e dall’Iraq». «Cessi lo spargimento del sangue del fratello! – ha detto – Simili atti disumani sono contrari al volere di Dio».Alla guerra della tvIraq, la guerra che distrugge e non ricostruisce