Pisa

LA DIOCESI DI PISA NELL’ANNO DELLA FEDE

di Giovanni Paolo Benotto+

Carissimi,approssimandosi l’inizio dell’ Anno della Fede mi rivolgo all’intera Chiesa pisana, presentando una serie di riflessioni e di proposte che vogliono attualizzare per la nostra Diocesi l’iniziativa che il Papa ha proposto alla Chiesa universale.

Il mio desiderio è quello di stimolare tutte le componenti della nostra Chiesa a cogliere nella iniziativa di Benedetto XVI un grande dono che il Signore ci offre e che può aiutarci a crescere nella fede e soprattutto a diventare più coraggiosi nell’annunciarla e nel testimoniarla al mondo in cui viviamo.

Quanto vi scrivo non è solo espressione del mio pensiero, ma condivisione fraterna di quanto emerso nelle riunioni del Consiglio Pastorale diocesano del 10 febbraio 2012 e del Consiglio Presbiterale del 1 marzo 2012  nelle quali ci siamo interrogati circa la celebrazione dell’Anno della fede nella nostra Chiesa pisana e in cui sono emerse indicazioni preziose per la sua impostazione.

Si tratta di considerazioni che si riallacciano a quanto scritto dal Papa nel Motu Proprio “Porta Fidei”, ma che attualizzano nella nostra realtà diocesana quanto espresso per la Chiesa intera.

Il nostro, non è un tempo facile per la fede, perché questa sta vivendo una stagione di crisi profonda.  Come scrive il Papa nel Motu Proprio “Porta Fidei” , “capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori ad essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”(2)

 Inoltre spesso si confonde la fede con quella che è la religiosità legata alle tradizioni e alle consuetudini così come è in atto uno “scollegamento” dell’esperienza della fede dalla persona di Gesù e dal suo vangelo, che non risulta più essere il riferimento concreto e costante per la vita di ogni giorno. Infatti, più che di fede a volte si può parlare di forme di religiosità più o meno rivestite di cristianesimo che nemmeno hanno una traduzione coerente nella vita morale, per cui da una parte sta la religiosità e dall’altra la vita con le sue scelte concrete. In altre parole, c’è da domandarsi se anche il cristiano che si proclama tale, ha fatto realmente una autentica esperienza personale di incontro con Gesù Cristo il Signore.

In questo quadro di riferimento sta crescendo una notevole e diffusa ignoranza circa i contenuti della fede, spesso recepiti attraverso i canali deformanti della comunicazione sociale, non dimenticando che gli stessi contenuti della teologia della fede, in quanto tali, vengono filtrati dal sentire soggettivo di ciascuno, per cui se ne accettano alcuni elementi, mentre se ne rifiutano altri. E questo anche per una diffusa allergia ad accettare che sia la Chiesa a dire ciò che è patrimonio della fede cristiana cattolica e ciò che invece non lo è. In altre parole il soggettivismo e l’individualismo sono spesso all’origine della perdita di valore del patrimonio di fede che la Chiesa è chiamata a trasmettere e che il singolo si sente in diritto di valutare se e in quale misura accettare per sé e la propria esistenza. La conseguenza è che il potere decisionale e discrezionale della singola persona e dello stesso singolo fedele circa la propria adesione ai contenuti della fede, è spesso determinato dall’ignoranza e dalla perdita del senso della oggettività della fede stessa, che rimane in balia del sentire soggettivo di ciascuno.

A tutto ciò si accompagna una grave carenza del “senso di Chiesa”. Se il patrimonio della fede è affidato alla custodia e all’annuncio da parte della Chiesa, ma la Chiesa non è percepita nella sua vera identità, è ovvio che alla fine, rifiutando la mediazione della Chiesa, si finisce per rifiutare anche la fede; oppure, sia per l’una che per l’altra si accoglie solo una valenza sociologica e la capacità di fornire e di definire un’area di appartenenza e di identità comune, ma assai superficiale ed esteriore. In realtà, anche per quanto riguarda la condivisione della fede e della appartenenza alla Chiesa, gioca non poco la fragilità e l’evanescenza delle relazioni interpersonali e sociali, per cui spesso si cerca e si accetta un rapporto di fede con Dio che sia esclusivamente individuale, come se fosse possibile vivere l’esperienza cristiana senza relazioni significative con i fratelli di  fede all’interno della comunità ecclesiale.

Come già accennato, nasce così una specie di schizofrenia tra i principi che si dice di credere e le azioni che si compiono ogni giorno; la vita vissuta quotidianamente diventa altra cosa rispetto alla fede e la testimonianza cessa di essere credibile anche quando non si dimenticasse il dovere di trasmettere agli altri quanto ricevuto da chi ci ha preceduto nella professione di fede.

L’esperienza ci dice che sono molte le persone non credenti che si pongono domande di senso, ma non sempre i credenti sanno dare risposte, perché essi stessi hanno conoscenze ed esperienze di fede assai approssimative che frappongono ostacoli anche ad una autentica partecipazione liturgica e ad esperienze di vera carità che riesca ad attingere al cuore stesso di Dio. Sappiamo bene, infatti, che fede, speranza e carità o stanno insieme o insieme rischiano di perdere splendore e significato.

Un ambito in cui la fede fa fatica ad essere trasmessa da una generazione all’altra è proprio lo spazio naturale nel quale invece la fede è sempre stata trasmessa: la famiglia. Ci troviamo attualmente ad uno snodo epocale con tutte le contraddizioni del caso: si chiedono ancora i sacramenti per sé e per i figli, ma, dato che la fede è diventata una “faccenda privata”, ci si preoccupa assai poco della sua trasmissione anche là dove invece tutto chiede condivisione e sostegno reciproco.

Una priorità che emerge da queste considerazioni è quella della formazione di laici adulti che siano consapevoli della propria nativa vocazione di evangelizzatori in stretto e necessario rapporto con i ministri ordinati. Altra urgenza è una forte attenzione a coniugare ogni attività ecclesiale con un forte e perseverante impegno educativo a tutto campo e specialmente nei percorsi della iniziazione cristiana dei fanciulli, dei ragazzi e dei giovani, come nella preparazione degli adulti al sacramento della cresima e del matrimonio, e alla celebrazione dei sacramenti della Iniziazione Cristiana dei figli.

A questo proposito si manifestano come davvero provvidenziali la Nota pastorale  circa la Preparazione dei genitori al battesimo dei figli, e il documento che contiene le Linee e indicazioni diocesane per l’evangelizzazione e la catechesi degli adulti.

Alla ancora scarsa conoscenza della Parola di Dio, si accompagna una più estesa ignoranza dei documenti della Chiesa, sia dei testi del Concilio Vaticano II, sia del Catechismo della Chiesa Cattolica.  A questa diffusa ignoranza occorre rispondere con una rinnovata comprensione di che cosa significhi credere in Cristo Gesù Signore e con una riscoperta di quanto cinquanta anni or sono ci ha consegnato il Concilio Vaticano II con le sue quattro Costituzioni e venti anni or sono il Magistero pontificio con il Catechismo della Chiesa cattolica.

Non possiamo dunque dimenticare che

a) la fede è innanzi tutto dono di Dio. Da qui la riconoscenza e l’ascolto di Dio che parla all’uomo di sempre. Dio ci rivela che il primo passo è sempre il suo e che la fede che Egli semina e suscita in noi con la sua grazia, chiede la nostra risposta al suo dono d’amore per noi. L’atteggiamento fondamentale da educare è dunque l’ascolto, il discernimento e l’accoglienza della Parola di Dio nella nostra vita quotidiana.

b) La fede è incontro e conoscenza di Dio in Gesù; quindi è esperienza del Mistero rivelato in Cristo che incontriamo oggi nella Parola, nell’Eucaristia e negli altri Sacramenti, nel Ministro sacro, nella Chiesa che prega, nel fratello che soffre. Da qui un altro atteggiamento da formare ed educare è quello del sentirsi sempre in cammino, in ricerca del Mistero, aiutati dal Signore Gesù, come i due discepoli in cammino verso Emmaus nella sera di Pasqua.

c) La fede è esperienza comunitaria, cioè è esperienza di appartenenza alla Chiesa a partire dalla appartenenza alla Chiesa  diocesana. In essa ciascun credente è chiamato alla formazione e alla testimonianza fatta di annuncio e di servizio secondo la propria specifica vocazione e missione (ministerialità). L’atteggiamento da far crescere è quello della relazione fraterna, ossia della volontà di rafforzare e di vivere in profondità tutti i rapporti interpersonali umani e sacramentali che permettono di conoscere e di motivare sempre meglio la propria fede che, per essere piena e matura, non può non essere che la fede della Chiesa stessa.

d) La fede è ancora missione e dialogo rivolti a tutti, tenendo conto che questo nostro mondo e la cultura nella quale viviamo sono l’ambito necessario in cui deve essere radicato l’amore del Padre verso ogni creatura. La missionarietà è dunque l’atteggiamento che permette quel respiro universale che il credente e la comunità ecclesiale debbono possedere per non diventare asfittici e infecondi.

Le quattro annotazioni sopra riportate a proposito della fede ci chiamano ad operare in questo anno su quattro direzioni: quella della fede vissuta  che opera mediante la carità; della fede studiata e conosciuta nei suoi contenuti; della fede pregata e celebrata nella liturgia e della fede annunciata e proclamata a tutti, tenendo conto degli ambiti particolari della nostra attività pastorale ordinaria.

a. Fede vissuta. Sarà utile per tutti e in particolare per il mondo giovanile, moltiplicare le occasioni nelle quali i giovani siano chiamati a compiere gesti che traducono la fede in servizio di carità (mense dei poveri, campi di lavoro solidale, etcc) e comunque attraverso esperienze preparate e gestite con finalità educative per una fede che si esprima nella carità.  Una opportunità in questo senso viene offerta dalla realizzazione della Cittadella della Solidarietà, come da un utilizzo più ampio delle normali iniziative di formazione alla carità che la nostra Caritas Diocesana sta portando avanti con grande perseveranza. Sempre nell’ambito della fede vissuta, uno strumento da usare è quello dell’ascolto e del confronto con i Testimoni della fede, perché emerga la bellezza dell’autentico umanesimo cristiano. La vita dei Santi è sempre un buon punto di riferimento per tutti.

b. Fede studiata. La Scuola di Formazione Teologico Pastorale, nell’anno accademico 2012-2013, non mancherà di dare spazio alla presentazione delle Costituzioni Conciliari e del Catechismo della Chiesa Cattolica. In questa direzione si muoverà, con il suo stile particolare, anche il Servizio Cultura e Università  affrontando temi che hanno come sfondo le problematiche della fede e del suo rapporto con le scienze dell’uomo.

Si auspica che si dia nuovo impulso ai Centri di Ascolto della Parola di Dio con tematiche relative alla fede da approfondire nella sua essenza proprio grazie alla Parola di Dio spezzata insieme e condivisa in piccoli gruppi. Per questo dovranno essere forniti dei sussidi appropriati.

Una particolare attenzione dovrà essere data ad una sistematica conoscenza del Credo in ciascuno dei suoi articoli con riferimento esplicito al Catechismo della Chiesa Cattolica quale base sicura di una catechesi sistematica. A questo proposito potranno essere utilizzati quei momenti che già appartengono alla tradizione devozionale delle nostre comunità come in occasione del Rosario del mese di maggio e di ottobre; l’Ottavario dei Defunti; la Novena di Natale e quella dell’Immacolata, etcc.

L’approfondimento del Credo potrebbe essere proposto anche in famiglia da parte dei genitori nei confronti dei figli, offrendo strumenti e linguaggi che avvicinino i più piccoli e i più giovani alla comprensione del Credo che professiamo nella Messa domenicale.

Una occasione da valorizzare per la riscoperta della fede e dei suoi contenuti può essere anche quella dei pellegrinaggi. Basti pensare al numero di fedeli che ogni anno si recano con la propria parrocchia in pellegrinaggio a Montenero o in altri Santuari  e in modo particolare a Roma.

c. Una fede pregata. Si suggerisce una più attenta utilizzazione delle esperienze che già stanno ritmando la pastorale giovanile diocesana e che si sono dimostrate più rispondenti alla sensibilità giovanile, come ad esempio, la possibilità di far intervenire i giovani con domande da porre all’arcivescovo e agli altri relatori in occasione dei vari momenti di preghiera e di riflessione. Ed ancora la valorizzazione della Mostra Vocazionale che nel prossimo anno si terrà in Versilia ; così come la diffusione della esperienza del “Volto nella Notte”. E’ poi importante che a cinquanta anni di distanza si “racconti” il Concilio Vaticano II ai più giovani che non hanno avuto la fortuna di viverlo nel suo accadimento storico.

Sempre a livello giovanile sarà opportuno proporre, possibilmente in ogni vicariato, un incontro tra l’arcivescovo e i ragazzi che riceveranno la Cresima durante l’anno, così come la Veglia di Pentecoste potrà diventare l’occasione della “redditio fidei” dei cresimati durante l’anno.

d. Fede annunciata e proclamata. Proprio perché la fede non può essere solo una esperienza individuale, ma comunitaria, anche se deve essere personale, è importante che appaia chiaramente che l’anno della fede è in intima relazione con il tema della nuova evangelizzazione. Ciò permetterà una più consapevole comprensione delle questioni fondamentali e dei principi irrinunciabili che stanno sempre alla base delle tante domande che vengono poste alla Chiesa del nostro tempo, cercando di non smarrire, ma anzi di mettere in evidenza, quei punti di contatto con il mondo non credente, che permettono il vero dialogo, la ricerca condivisa e il superamento delle innumerevoli precomprensioni che spesso impediscono di entrare nella casa comune della Chiesa, come si è cercato di fare con l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” e delle varie “Cattedre per i non credenti”.

Nella nostra diocesi, l’anno della fede inizierà ufficialmente il 25 ottobre prossimo con una solenne celebrazione Eucaristica in Cattedrale, alle ore 18,  nella quale ricorderemo la festa della Madonna di Sotto gli Organi alla quale affideremo questo anno, così come fece il Beato Giovanni XXIII che volle iniziare il Concilio Vaticano II nella festa della Maternità di Maria che in quel tempo si celebrava l’11 ottobre.

Nella prospettiva della fede, cercheremo di vivere le varie Solennità dell’anno liturgico, senza moltiplicare il numero delle celebrazioni, bensì facendo in modo che le occasioni in cui la Chiesa diocesana si ritrova a celebrare insieme, diventino momenti qualificati di una rinnovata esperienza di professione della nostra fede. Con questa intonazione vivremo gli appuntamenti annuali della Giornata della Vita Consacrata, della Giornata del Malato, della Veglia Missionaria, della Veglia di preghiera per le Vocazioni, della Veglia di Pentecoste, della Giornata di preghiera per la santificazione dei Sacerdoti, del Convegno Ecclesiale diocesano e degli altri appuntamenti inseriti nel calendario diocesano che saranno evidenziati di volta in volta.

Sono sicuro che ciascuno, secondo la propria responsabilità ecclesiale e familiare, non mancherà di accogliere con piena disponibilità questa straordinaria proposta della Chiesa e guidato dall’azione dello Spirito Santo, sarà pronto in prima persona a proclamare con la vita oltre che con le parole, quanto la Liturgia del sacramento della Confermazione mette sulle nostre labbra al termine della professione di fede: “Questa è la nostra fede; questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù, nostro Signore”.

Su ciascuno e su ognuna delle nostre comunità, invoco di cuore l’abbondanza delle benedizioni divine, perché il Signore ci confermi e ci faccia crescere nella professione e nella testimonianza della nostra fede.

 

+ Giovanni Paolo BenottoArcivescovo