Arezzo - Cortona - Sansepolcro

La diocesi accanto ai cristiani di Terra Santa.

Sansepolcro, un destino nel nome. Ma anche una vocazione dipinta dal grande Piero per il Palazzo pubblico della città, la Resurrezione. Da qui parte il pellegrinaggio in Terra Santa guidato dall’arcivescovo Riccardo Fontana per un progetto: portare al patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, la richiesta di gemellaggio fra la diocesi col nome di Sansepolcro nel suo titolo e la Chiesa-madre di Gerusalemme, custode del Santo Sepolcro. La partenza è da Fiumicino il 7 gennaio. Iniziare un cammino è sempre una sorpresa. Oggi come ai tempi di Egidio e Arcano, i pellegrini fondatori della città di Sansepolcro. Nell’attesa prima dell’imbarco, don Alberto Gallorini, parroco della Concattedrale di Sansepolcro, sfila dallo zainetto il breviario. Immagino la preghiera di Egidio e Arcano in mezzo alla tempesta. Nel bus fra l’aeroporto di Tel Aviv e la città di Betlemme, l’arcivescovo spiega: «Abbiamo un preciso intento: promuovere una storia, avviare una storia. Per onorare il nome della Chiesa di Sansepolcro. Spero che ciò che stiamo facendo porti aiuto ai poveri di questa terra, ai nostri fratelli cristiani di Palestina». Venerdì 8 dicembre è la giornata dedicata ai luoghi di Cristo. Don Mario Cornioli parla e indica con la mano. Di fronte alla delegazione della diocesi, sul Monte degli Ulivi, la città vecchia di Gerusalemme. Da questo balcone naturale il racconto evangelico della Passione trova tutta la sua collocazione topografica. «Quello che abbiamo visto e udito» … anche noi quasi testimoni oculari di una tragedia. Nel Getsemani, Fontana afferma: «Questo è il luogo della desolazione. Ma anche il luogo della speranza perché qui comincia la redenzione». Poi nel Cenacolo. «Questo è il luogo della festa – sottolinea l’arcivescovo – perché è il luogo della cena pasquale e della Pentecoste. Qui sono invitati tutti i popoli della terra». Quindi al Santo Sepolcro. Scariche di flash appena varcato il grande portone della basilica. I bianchi mantelli con la grande croce di Gerusalemme danno maestosità all’incedere dei cavalieri. I pellegrini che affollano la basilica fanno ala e osservano sorpresi la piccola processione. Eccoci davanti al Sepolcro vuoto. Siamo i pellegrini di oggi con il desiderio di un gemellaggio fra la Chiesa di Arezzo-Cortona-Sansepolcro e la Chiesa-madre della Città santa. La giornata di sabato comincia a Betlemme davanti alla stella che indica il luogo della mangiatoia. Il vicario generale, monsignor Giovacchino Dallara, intona il «Venite, fedeli». Il canto è dolce. Ti senti pacificato. Poi la tappa ai «Gesù Bambini». L’opera è una casa per bambini handicappati. È gestita dalle Suore del Verbo Incarnato, un ordine nuovo di origine argentina. Sono qui a Betlemme da quattro anni ed oggi seguono 20 bambini. Suor Regina, brasiliana, ci presenta la situazione: c’è il progetto da raddoppiare almeno la casa e lo scorso 18 dicembre il patriarca ha murato la prima pietra. Nel giardinetto, don Alberto tira fuori una busta e la dà a suor Regina: 6 mila euro raccolti con le trine e gli oggetti del mercatino missionario delle volontarie di San Lorenzo di suor Giuseppa. Il momento centrale è nel patriarcato di Gerusalemme. L’arcivescovo Fontana, con la mozzetta dei cavalieri, davanti al trono dove è seduto il patriarca latino, dà lettura della «Lettera d’intenti» che è stata preparata insieme al presidente della Provincia, a quello della Camera di Commercio, ai delegati dei comuni di Arezzo e Cortona, al presidente di Rondine. È la colonna portante del gemellaggio. «Le Chiese sorelle d’Italia – spiega il patriarca – ci sono sempre state vicine. Sono commosso: tutto sottolinea la comunione cristiana che c’è fra noi e voi. Non ci sentiamo soli». A Gerusalemme ci sono 10mila cristiani, 274mila musulmani e più di 400mila ebrei. «Siamo un piccolo resto – afferma Twal –. Ma è il Vangelo che dice: voi sarete il sale del mondo. Essere pochi non ci dà alcun complesso». Fra gli interventi del patriarcato un insediamento arabo-cristiano di Beth Safafa, a Gerusalemme ovest, per costruire 72 abitazioni per giovani coppie cristiane. Fontana adotta per la diocesi uno degli appartamenti e nel pomeriggio la delegazione si reca in visita al cantiere. Domenica. Gerusalemme ovest. Qui arriva la strada che da Tel Aviv, percorrendo la Cisgiordania, arriva a Gerusalemme. E Aboud, la parrocchia dove siamo diretti, è Cisgiordania. La strada si chiama 443: nel segmento palestinese è fortificata, impenetrabile. Aboud è un villaggio di 2mila abitanti , il 55% cristiani. Case povere, ma una storia antichissima: ci sono i resti di ben nove chiese bizantine. Di cosa vivono questi cristiani? Il nostro problema è il muro, ci dice in canonica, prima di entrare per la Messa, don Elias. Ci hanno confiscato 15mila metri quadrati per fare il muro; sono un terzo delle terre di Aboud. Il muro, inoltre, includerà anche il bacino d’acqua, in una zona agricola che vive di olivo. Senza acqua, niente olivo. Senza olivo, niente vita. La chiesa è gremita. Il vescovo e i concelebranti celebrano dentro una grotta artificiale fatta di carta colorata. «La comunità di Aboud che ha ricevuto la fede cristiana direttamente da Gesù – spiega il parroco nel saluto – ha sempre vissuto e testimoniato questa fede, malgrado tutte le sofferenze del passato». Nell’omelia l’arcivescovo Fontana fa sintesi del viaggio: «Per noi questi giorni sono stati importanti: abbiamo potuto vedere che voi, fratelli di Terra Santa, siete nella grande tribolazione».

In Palestina, la sfida del perdono»Una esperienza straordinariamente efficace ed utile». Riccardo Fontana, vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, racconta alla Sir la sua partecipazione alla visita in Terra Santa con il Coordinamento dei vescovi Usa e Ue per la Terra Santa, la prima di un presule italiano dopo 10 anni. Tracciando un bilancio del viaggio, Fontana afferma di essere rimasto colpito «dalla dignità dei cristiani locali, visibile anche in chi li guida, patriarca e clero. La volontà è quella di rendersi conto delle difficoltà che hanno queste comunità che sono vittime di storie più grandi, che ogni sera, quando tornano a casa stanche, devono chiedere permesso misurandosi con una occupazione che non dipende da loro, con un terrorismo che non dipende da loro. E nonostante ciò, sentire i cristiani di Terra Santa ragionare in termini di perdono e amore anche verso chi li fa soffrire colpisce profondamente». Sia Israele, sia i musulmani hanno bisogno della Chiesa – afferma Fontana citando il vice ministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon, incontrato nei giorni scorsi – «che è portatrice della cultura del perdono e della pratica della carità. Senza i cristiani non ci sarà convivenza in Terra Santa. Ecco perché è importante che non emigrino. Non abbiamo interesse a fare i pellegrinaggi a musei ma ai nostri cristiani che sono le pietre vive».