Toscana
La difficile vita degli immigrati nell’era della «Bossi-Fini»
Dagli uffici di via Faentina, 34, lunedì scorso sono passati oltre cento stranieri. Un altro centinaio si presentano in media negli altri due giorni di apertura, il mercoledì e il venerdì dalle 9 alle 12. Negli ultimi mesi l’utenza è in crescita, suddivisa abbastanza equamente tra «regolari» e «irregolari».
«La legge Bossi-Fini, ci spiega Eleonora ha cambiato diverse cose, al di là della regolarizzazione che è stata sicuramente importante, anche per far emergere il lavoro nero. Il problema è che lega il permesso di soggiorno al lavoro in modo così stretto che anche chi è da tanti anni in Italia, da regolare, rischia di tornare clandestino. Anche perché chi è in Italia da dieci anni probabilmente non ha più legami con il paese d’origine, ha fatto venire qua tutta la famiglia».
Se perdono il lavoro possono rinnovare un soggiorno per attesa d’occupazione di sei mesi, ma se in quei sei mesi non vengono riassunti devono lasciare l’Italia. «È un bel problema ci dice Elenora Pagliai. Situazioni di questo tipo cominciano ad arrivarne tante da noi. Persone che si erano già sistemate ma che ora si trovano a dover riaffrontare tutti i problemi: l’alloggio, il lavoro, il rischio di perdere il permesso… Per cui c’è anche un’ansia nell’affrontare questi problemi che prima non c’era».
Anche chi, per ora, il lavoro ce l’ha si rivolge al Centro di ascolto per farsi aiutare nel rinnovo dei documenti, oppure per il ricongiungimento familiare. Poi c’è il problema della casa. Un grande problema, anche perché in base alla Bossi-Fini è indispensabile avere un alloggio (e di determinate dimensioni e condizioni) per poter ottenere il ricongiungimento familiare. Chi riesce a trovare una casa in affitto deve impegnare fino all’80% dello stipendio, come del resto succede anche a tanti fiorentini. E poi ci sono i subaffitti, le case piene di gente con otto persone in due stanze…
Proprio sulla casa si misura anche il grado di «accoglienza» dei fiorentini. «È un campanello d’allarme», ci confessa l’operatrice della Caritas, «vediamo che ci sono ancora molti pregiudizi ad affittare ad un immigrato. Si sentono discorsi come non hanno voglia di lavorare, si riempono la casa di gente, non vivono come noi, per cui chissà cosa fanno in casa…».
Poi ci sono gli «irregolari». Quelli che solo la Caritas riesce ad avvicinare. «Tanti rumeni, soprattutto uomini. Dopo che è stato abolito l’obbligo del visto, per tre mesi circolano in Italia tranquilli. Il problema è che non hanno niente; la maggior parte sono di origine zigana, e anche nel loro paese non avevano una stabile dimora. E stanno qui senza far niente».
Il flusso degli albanesi, che era stato molto intenso nella seconda metà degli anni ’90 (e oggi sono il 17,7% degli immigrati toscani, la comunità più consistente) si è, invece, quasi fermato. In genere si sono integrati e mandano i soldi in Albania, dove si comprano una casa per tornarci in vecchiaia. Qua da noi arriva ancora solo qualche famiglia per i ricongiungimenti.
Circa 140-150 mila in Italia, 9 milioni in Europa e 18 milioni nel mondo. Questi i numeri dei nomadi, la cui ultima migrazione nel nostro Paese proviene dalla Romania. Ad essi si rivolgono i 4 centri di coordinamento per l’assistenza socio-pastorale a livello interregionale con 20 preti, religiosi, religiose, laiche e laici che, su mandato del vescovo, vivono all’interno delle comunità. Tra i 150 e i 200 i volontari, legati a parrocchie o a movimenti, che operano con visite ai campi-sosta, catechesi e altre attività. I grandi gruppi zingari presenti in Europa si classificano linguisticamente in rom (vlach e non vlach), sinti o manus, gitani o kalè, gypsies o romanichals.
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