Toscana

La difficile vita degli immigrati nell’era della «Bossi-Fini»

di Claudio TurriniA guardare le statistiche, nel 2003 c’è stato un autentico boom di immigrati stranieri in Toscana. In media più 57%, con punte di crescita addirittura del 72% a Firenze e del 69,7% a Prato, le aree «più calde». Ma è solo l’effetto della regolarizzazione introdotta dalla legge Bossi-Fini. Quegli immigrati c’erano anche prima, solo che non figuravano nelle statistiche. Ce lo conferma Eleonora Pagliai, responsabile del Centro ascolto stranieri della Caritas di Firenze.

Dagli uffici di via Faentina, 34, lunedì scorso sono passati oltre cento stranieri. Un altro centinaio si presentano in media negli altri due giorni di apertura, il mercoledì e il venerdì dalle 9 alle 12. Negli ultimi mesi l’utenza è in crescita, suddivisa abbastanza equamente tra «regolari» e «irregolari».

«La legge Bossi-Fini, – ci spiega Eleonora – ha cambiato diverse cose, al di là della regolarizzazione che è stata sicuramente importante, anche per far emergere il lavoro nero. Il problema è che lega il permesso di soggiorno al lavoro in modo così stretto che anche chi è da tanti anni in Italia, da regolare, rischia di tornare clandestino. Anche perché chi è in Italia da dieci anni probabilmente non ha più legami con il paese d’origine, ha fatto venire qua tutta la famiglia».

Se perdono il lavoro possono rinnovare un soggiorno per attesa d’occupazione di sei mesi, ma se in quei sei mesi non vengono riassunti devono lasciare l’Italia. «È un bel problema – ci dice Elenora Pagliai–. Situazioni di questo tipo cominciano ad arrivarne tante da noi. Persone che si erano già sistemate ma che ora si trovano a dover riaffrontare tutti i problemi: l’alloggio, il lavoro, il rischio di perdere il permesso… Per cui c’è anche un’ansia nell’affrontare questi problemi che prima non c’era».

Anche chi, per ora, il lavoro ce l’ha si rivolge al Centro di ascolto per farsi aiutare nel rinnovo dei documenti, oppure per il ricongiungimento familiare. Poi c’è il problema della casa. Un grande problema, anche perché in base alla Bossi-Fini è indispensabile avere un alloggio (e di determinate dimensioni e condizioni) per poter ottenere il ricongiungimento familiare. Chi riesce a trovare una casa in affitto deve impegnare fino all’80% dello stipendio, come del resto succede anche a tanti fiorentini. E poi ci sono i subaffitti, le case piene di gente con otto persone in due stanze…

Proprio sulla casa si misura anche il grado di «accoglienza» dei fiorentini. «È un campanello d’allarme», ci confessa l’operatrice della Caritas, «vediamo che ci sono ancora molti pregiudizi ad affittare ad un immigrato. Si sentono discorsi come “non hanno voglia di lavorare”, “si riempono la casa di gente”, “non vivono come noi, per cui chissà cosa fanno in casa”…».

Poi ci sono gli «irregolari». Quelli che solo la Caritas riesce ad avvicinare. «Tanti rumeni, soprattutto uomini. Dopo che è stato abolito l’obbligo del visto, per tre mesi circolano in Italia tranquilli. Il problema è che non hanno niente; la maggior parte sono di origine zigana, e anche nel loro paese non avevano una stabile dimora. E stanno qui senza far niente».

Il flusso degli albanesi, che era stato molto intenso nella seconda metà degli anni ’90 (e oggi sono il 17,7% degli immigrati toscani, la comunità più consistente) si è, invece, quasi fermato. In genere si sono integrati e mandano i soldi in Albania, dove si comprano una casa per tornarci in vecchiaia. Qua da noi arriva ancora solo qualche famiglia per i ricongiungimenti.

Le nuove presenze vengono tutte dall’Europa dell’Est: oltre ai rumeni, sono soprattutto donne ucraine o moldave, che lavorano come badanti. Arrivano clandestine, senza speranze di potersi regolarizzare, anche se trovano lavoro. Perché dopo la Bossi-Fini per ottenere il permesso di soggiorno bisogna rientrare nei flussi d’ingresso. E lo scorso anno in tutta la provincia di Firenze il «tetto» era appena di 60 persone. Devono sperare che il loro datore di lavoro – al momento dell’uscita dei nuovi flussi d’ingresso – sia disposto a far la pratica, farle tornare in patria e poi chiamarle. Quasi come vincere un terno al lotto. Infine c’è il problema dei «richiedenti asilo politico», quasi tutti provenienti dall’Africa. Soprattutto somali e in misura minore ghanesi, liberiani, avoriani. «Riportati in Italia dopo la convenzione di Dublino (che prevedeva il rientro nel paese d’ingresso nella Ue, ndr) sono passati da paesi come la Svezia o l’Inghilterra, dove venivano trattati con i guanti, con tanto di casa, e sussidi, all’Italia, l’unico paese europeo che non ha una legge sui rifugiati. E a Firenze – ci spiega ancora Eleonora – son finiti a dormire per la strada». Gli italiani nel mondoNel mondo 516 sacerdoti seguono gli italiani, di ogni generazione, che richiedono un servizio religioso e che impegna anche 166 suore e 55 operatori laici. Metà delle forze pastorali e strutture si registra in Europa (214) per gli oltre 2 milioni di italiani emigrati, la cui pratica religiosa non supera il 5%. In Svizzera sono 430 mila con 64 missioni che impegnano 59 sacerdoti e un diacono. In Germania sono circa 700 mila, con 65 missioni con un sacerdote residente, ai quali si aggiungono 77 missionari, 30 suore, e 30 operatori pastorali laici. In Francia, gli italiani sono 360 mila; 23 le missioni dove lavorano 19 preti, 6 religiose e 2 operatrici pastorali. In Belgio e Lussemburgo i 335 mila italiani hanno assistenza pastorale nelle 27 missioni con 21 missionari, 5 suore e 4 laici. In Inghilterra il rientro di un giovane sacerdote mette in difficoltà l’insieme del corpo missionario costituito da 10 sacerdoti e 11 suore che sono a servizio dei 160 mila italiani. Nel resto del mondo si hanno 30 centri pastorali in Australia per 150 mila italiani, 15 in Africa del sud e nel Maghreb con comunità italiane che non superano le 70 mila unità; solo 30 i centri italiani in America Latina nonostante una presenza italiana che supera il milione.

Circa 140-150 mila in Italia, 9 milioni in Europa e 18 milioni nel mondo. Questi i numeri dei nomadi, la cui ultima migrazione nel nostro Paese proviene dalla Romania. Ad essi si rivolgono i 4 centri di coordinamento per l’assistenza socio-pastorale a livello interregionale con 20 preti, religiosi, religiose, laiche e laici che, su mandato del vescovo, vivono all’interno delle comunità. Tra i 150 e i 200 i volontari, legati a parrocchie o a movimenti, che operano con visite ai campi-sosta, catechesi e altre attività. I grandi gruppi zingari presenti in Europa si classificano linguisticamente in rom (vlach e non vlach), sinti o manus, gitani o kalè, gypsies o romanichals.

Porti e aeroportiFin dai primi decenni del ‘900 la «Stella Maris» si occupa di apostolato e assistenza per tutta la gente di mare. Alla fine della seconda guerra mondiale, esistevano 80 centri attivi e un Consiglio internazionale con sede a Roma. Oggi in Italia si contano 8 centri «Stella Maris» a Savona, Genova, La Spezia, Cagliari, Palermo, Augusta (Siracusa), Ravenna e Trieste, e viene fornita assistenza socio-pastorale ai marittimi di altre 11 località portuali. Circa 150 volontari – diaconi e laici – operano in questi centri. In 7 navi c’è un servizio permanente di assistenza pastorale a bordo e in altre un servizio saltuario con 7 sacerdoti a tempo pieno e altri part-time. Negli aeroporti operano a tempo pieno 2 sacerdoti (Roma-Fiumicino e Milano-Linate), 7 sacerdoti e un diacono part-time a Milano-Malpensa, Genova, Orio al Serio (Bergamo), Palermo, Torino-Caselle, Venezia-Tessera.

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