Didattica a distanza, in acronimo «DaD» è quella cosa giunta ai docenti, ai genitori e ai ragazzi come una stilettata allo stomaco, da un giorno all’altro. Scuole chiuse, quaderni e libri riposti in sacchetti di plastica e consegnati ai genitori, ancora frastornati, che timidamente si avvicinano ai banchi posti nell’atrio della Dante Alighieri, la scuola del capoluogo, la mia scuola, quella dove insegno ormai da anni. È il 5 marzo 2020. L’inizio della fine, almeno per il momento, di una didattica in presenza, della trasmissione di saperi e conoscenze dal vivo, di fronte a tante testoline piene di capelli e di idee, occhi sgranati e sana curiosità. Il Covid-19, come uno tsunami, ha travolto e stravolto le nostre certezze ponendo alla nostra scuola, e a quelle del nostro Paese, una domanda importante ed essenziale: continuare a insegnare, mantenendo un filo di contatto con gli alunni, oppure mollare tutto, pensare ad evitare il contagio, rimanere in salute? La risposta è stata immediata e l’hastag «La scuola non si ferma» è partito subito, i docenti, me compresa, hanno dialogato, si sono confrontati e in una manciata di giorni si sono buttati nella mischia tecnologica, hanno partecipato a corsi sulle tecnologie digitali per offrire ai propri allievi il meglio, pur restando a casa. Siamo entrati in punta di piedi nelle abitazioni dei nostri alunni, abbiamo proposto video lezioni asincrone, cartoni animati esplicativi e didattici, abbiamo ascoltato i nostri bambini, quelli che sono riusciti a collegarsi, scrivendo a chi, per motivi molteplici, invece non riusciva a farlo. Ho provato molta frustrazione quando alcuni miei interlocutori senza un personal computer, senza un minimo di alfabetizzazione informatica e con la famiglia senza un livello d’istruzione minimo, non sono riusciti a sostenere una continuità didattica minima. Poi, però, sono arrivate le lezioni sincrone, e con la classe di nuovo presente, quasi al completo, sono arrivati gli esercizi di consolidamento e le domande di ripasso realizzate al momento, per tastare il polso della situazione e rilevare le carenze nell’apprendimento, o i punti di forza delle conoscenze acquisite. Oggi, dopo mesi di lavoro, posso affermare, senza ombra di dubbio, che questa DaD a me ha insegnato molto, perché mi ha chiesto di interrogarmi sulle modalità didattiche che già conoscevo e davo per scontate, per propormi di re-inventarmi e rimodularle al fine di offrire ai miei ragazzi un qualcosa in più della classica lezione frontale. Ho cominciato a realizzare dei brevi video, a parlare con i miei allievi e con i genitori, a capire e carpire gli stati d’animo, i momenti di disagio per il forzato confinamento, le paure e i desideri che emergevano oltre remoto. Non è stato facile. La didattica inclusiva, malgrado gli sforzi e la sinergia tra scuola e istituzioni, malgrado i pc e i tablet consegnati a chi non poteva permettersi di acquistarli, a volte non ha retto e quindi, a volte, ha fallito. Problemi di connessione, di fibra, di collegamento. «Maestra puoi ripetere, per favore, mi sono disconnesso e non ho capito», «maestra non ti vedo, ma ti sento», «maestra scusami se ho ritardato alla lezione, ma non riuscivo a collegarmi» queste sono le frasi tipiche che in questi mesi ho ascoltato, poi però, come per magia, i bambini hanno imparato la grande lezione democratica dell’ascolto, hanno imparato a disattivare i microfoni quando richiesto, a scrivere in chat o nelle lavagne della https://whiteboard.fi/m, hanno imparato a collaborare come mai prima d’ora era accaduto. E, incredibile, hanno chiesto di poter andare in bagno da casa mentre lavoravamo… «perché maestra, non posso sparire all’improvviso senza avvisarti anche se sono a casa mia».Che grande lezione la DaD! Per tutti! Anche per i genitori nascosti dietro le tende che suggeriscono ai figli credendo di passare inosservati, oppure per quelli che si sforzano di aiutarli nei compiti assegnati e, improvvisamente, si accorgono di quanto lavoro abbia compiuto l’insegnante fino a quel fatidico 4 marzo, e di come il proprio figlio abbia difficoltà che vanno affrontate all’unisono con tutti gli attori in campo, famiglia compresa. Oggi, attraverso il video, nelle lavagne personali o in chat, i miei alunni mi mandano cuoricini, scrivono «forza Viola!», o «mi mancate tutti» oggi, che li vedo cresciuti, più alti e ancora più belli, mi trovo ad ammonirli scherzando: «Bambini non crescete troppo sennò mi superate! Il grande salto fatelo quando andate alle medie». I bambini ridono, perché lo sanno che scherzo, il buonumore è una mia caratteristica alla quale non rinuncerei mai, per nessun motivo, per questo l’ho rafforzata anche nella didattica a distanza e quando arriva il momento di chiudere, il filo che ci unisce si lega ancora di più e cliccare nel pc, sulla X in alto a destra, è difficile e spesso, andiamo ben oltre il tempo stabilito, perché c’è il desiderio di raccontarsi, di esprimere le proprie emozioni, di ritrovarsi. C’è la necessità improrogabile del dialogo, dell’interazione tra docenti e discenti, io per prima ne sento un’esigenza quasi fisica, perché insegnare, per me, non è soltanto trasmettere nozioni, insegnare per me è essere se stessi con i propri studenti e trasmettere loro amore e interesse: verso gli altri, verso la conoscenza, verso la vita. In questa mia visione personale dell’insegnamento, nel quale mi devo innalzare per arrivare a raggiungere gli animi dei miei studenti, proprio come scriveva il medico-maestro polacco Janusz Korczak, che per i suoi bambini dette la vita, è arrivata la DaD, che tutto sommato è stata un’esperienza educativa interessante, anche se non potrà sostituirsi mai alla didattica in presenza. E questo concetto lo ribadiscono anche i genitori nell’ultima assemblea di classe. Essi sono abbattuti, tristi, arrabbiati. Hanno ripreso il lavoro e i bambini restano con i nonni che non riescono a lavorare con il pc, spesso alcune famiglie hanno più figli e un solo personal computer, perciò utilizzano smartphone oppure tablet, ma non sempre riescono a far seguire le lezioni a tutti i figli e in questo contesto per loro seguirli risulta ancora più difficile. Insomma la scuola, quella in presenza manca a tutti, me compresa.