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La debolezza dell’Europa di fronte al terrorismo

D’altra parte mentre il cosiddetto stato islamico sembra subire le prime sconfitte soprattutto in Siria non cessano di aumentare i suoi aderenti in Europa tanto che ormai si calcolano in circa cinquemila i giovani europei che sono partiti per andare a combattere in Siria. Appare sempre più evidente che il cosiddetto stato islamico vale più per il suo significato simbolico che per la sua entità politica. Questo stato creato a cavallo fra l’Iraq e la Siria ha dimostrato che la resurrezione del califfato è possibile oltre che auspicabile.

Come la rivoluzione russa del 1917 rivelando che il comunismo cessava di essere solo un’idea e diventava una realtà provocò la nascita dei partiti comunisti in tutto il mondo così l’Isis ha provocato la proliferazione dei suoi seguaci in tutti i continenti. E si tratta di un movimento difficile a definire, a comprendere e a contrastare soprattutto in Europa. Chi vuole andare per le spicce se la cava dicendo che si tratta semplicemente della continuazione della guerra millenaria dei musulmani contro i cristiani. Il che impedisce di vedere che anziché di fronte ad un passato risaputo siamo di fronte ad una malattia mai vista di cui dobbiamo cercare ancora la cura.

Il nuovo estremismo islamico è infatti nuovo anche per l’islam. Esso usa almeno tre mezzi che non fanno parte della storia musulmana: il terrorismo come mezzo di guerra, il kamikaze come arma principale contro il nemico, le donne come combattenti. Si calcola che almeno un quarto degli aderenti all’Isis in Europa sia fatto da convertiti dimostrando che l’adesione all’estremismo avviene spesso non per tradizione ma per folgorazione. Anzi molti sostengono che il passaggio al fondamentalismo dei figli delle prime generazioni di musulmani emigrati sia avvenuta non per un eccesso di indottrinamento , ma al contrario per il vuoto di valori lasciato dalle generazioni più anziane sradicate dalla loro cultura di origine.

Anche il profilo di buona parte dei kamikaze finora identificati indica che spesso provengono da una iniziale storia di piccola delinquenza, di spaccio di droga, di caccia alle belle donne, di uso dell’alcool cioè da una esperienza che è tutto il contrario dell’islamismo bigotto. In realtà per trasformare un agnostico o un gaudente in un martire felice di saltare in aria per arrivare in cielo senza tenere conto della perversione che sta nell’uccidersi per uccidere ci vuole un enorme potere di seduzione e di persuasione. La terribile forza di attrazione dell’estremismo terrorista soprattutto nei confronti di generazioni emarginate e sradicate in ambiente estranei si basa soprattutto su due idee potenti come grandi droghe di massa, spalmate su ferite già aperte, capaci di accecare con la loro luce e di cui i predicatori dell’estremismo islamico sembrano oggi avere l’esclusiva.

La prima è l’idea cosmopolita di appartenere non ad un paese o ad una nazione ma alla grande e fraterna comunità mondiale dei credenti (l’antica «umma» fatta a pezzi dal colonialismo europeo e dalle lotte dei dittatori del mondo islamico). E questa idea universalistica ha avuto sempre un richiamo formidabile per mobilitare fino al sacrificio di sé sia che abbia nutrito la cristianità medioevale, o la massoneria settecentesca, o il comunismo del Novecento.

L’altra idea forte che alimenta questo estremismo è quella di smentire l’assurdità della morte, di fronte a cui il mondo laico contemporaneo si arrende e non sa che dire, e renderla addirittura affascinante attraverso il martirio che apre alla gloria e alla vita eterna. In sostanza l’estremismo dei predicatori islamici promette oggi attraverso l’odio e la pratica del sangue un suo spazio e un suo tempo immenso rispetto a quello individuale, fisiologico, effimero in cui si rinchiude soprattutto la cultura moderna occidentale. Di fronte a queste dimensioni più metafisiche che fisiche del grande doping dell’estremismo terroristico soprattutto l’Europa di oggi non ha quasi nulla da proporre e da scambiare dopo il crollo delle sue grandi utopie del Novecento, dopo che la sua idea di progresso si è seduta su una economia che non cresce più, dopo che perfino il futuro delle generazioni sparisce con una drammatica disoccupazione giovanile.

Alla risposta esistenziale e millenaristica anche se perversa dell’estremismo, l’Europa di oggi cerca di rispondere al massimo con i valori repubblicani di Marianna e della Marsigliese con tutto il loro credo condensato in una libertà fatta soprattutto di nuovi diritti inventati ogni giorno, in una eguaglianza sempre più smentita dall’abisso crescente fra ricchi e poveri, in una fraternità fatta di un mondo di figli unici e che non è capace nemmeno di mettere in comune i propri debiti e i propri profughi.

A questa debolezza delle proposte e delle risposte dell’Europa odierna bisogna anche aggiungere che l’estremismo ha trovato terreno fertile laddove la divisione è massima come nel Belgio eternamente lacerato fra fiamminghi e valloni e in genere in quella Europa francofona in cui da più di un secolo con le leggi di laicizzazione la religione è stata considerata un fatto privato e in genere irrilevante per la vita della persona e della società. Ed è evidente che questo tipo di cultura sprezzante rispetto al fenomeno religioso e disinteressato a ciò che di religioso si predichi o si pratichi nella società civile è assolutamente incapace di leggere e di affrontare un fenomeno che dell’uso della religione seppure in forma corrotta fa un’arma così potente.