Arezzo - Cortona - Sansepolcro

La crisi economica investe l’Aretino. Allarme occupazione.

Luciano Boncompagni, il celebre gioielliere di Corso Italia ad Arezzo, ha le idee chiare: «Quando c’è la crisi il primo settore a risentirne è il nostro. Se le persone devono fare a meno di qualcosa, si privano innanzitutto di prodotti di oreficeria e gioielleria». I numeri gli danno ragione. Boncompagni quantifica la crisi in un – 50% di vendite rispetto allo scorso anno. Le stime ufficiali non sono così elevate, anche se i dati dell’osservatorio congiunto di Camera di Commercio e Confindustria parlano per questo settore di un – 8,9% di produzione e di un – 9,7% di fatturato.La crisi è arrivata da tempo anche ad Arezzo e provincia e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, in particolare nel settore che un tempo era fiore all’occhiello dell’economia aretina: quello dell’oro. «Le difficoltà dell’oreficeria – spiega Boncompagni – in realtà esistono da tempo. Le fabbriche non producono, il mercato è bloccato e c’è meno gente in grado di fare acquisti di un certo tipo. Per questo si cerca di proporre sempre più prodotti di minor valore».Oro in crisi, ma non solo. A confermarlo è Lorenzo Sichei sindacalista della Cisl provinciale. «Anche l’abbigliamento, la meccanica e soprattutto il comparto edile non se la passano affatto bene. Ma ciò che preoccupa maggiormente è che le richieste fatte all’Ebret, l’ente bilaterale gestito da imprenditori e sindacati, da aziende della provincia di Arezzo di messa in mobilità dei lavoratori sono praticamente raddoppiate in un anno». Parole confermate anche da Cna Arezzo per bocca del suo direttore generale, Giuseppe Ginepri: «I fondi per la cassa integrazione in Toscana sono terminati e la provincia di Arezzo è stata tra i principali territori a farne uso: 125 le aziende orafe coinvolte nel 2008, con oltre 650 lavoratori messi in mobilità. Numeri che si ripetono in maniera pressoché identica nel settore della moda».Posti di lavoro a rischio, incertezza e difficoltà nel programmare il futuro. Questo è il quadro a tinte fosche con cui oggi si confrontrano i lavoratori sia di Arezzo, sia dell’intera provincia. E, anche quando ci sono ancora stipendio e posto fisso, la tensione e le difficoltà non mancano. È l’esempio di un’operaia di una nota fabbrica della provincia di Arezzo che vuol rimanere anonima: «Vedere l’azienda per cui si lavora rallentare in modo così vertiginoso la produzione, come sta accadendo in questi ultimi mesi, non è affatto confortante. I giovani che vengono assunti come precari sono i primi a risentire di questa situazione. Non viene rinnovato loro il contratto e se ne devono tornare a casa senza un lavoro. Ma anche noi che siamo qua da più anni iniziamo a temere per il nostro futuro».Avvenire incerto anche per gli artigiani aretini. Katia può essere una testimone dell’emergenza vissuta dal settore: «Sono stata costretta a mettere in vendita la mia attività perché le entrate non erano sufficienti a coprire le spese. Una situazione insostenibile». Difficoltà anche per gli studi commercialistici: le aziende arrancano e non riescono a pagare neanche chi tiene loro i conti. «La crisi ad Arezzo e provincia – spiega Roberto Castellucci, direttore dell’Istituzione distretti industriali della provincia – si fa sentire ancora di più perché non eravamo affatto pronti per affrontarla. I problemi sono strutturali. Produciamo ancora come trent’anni fa, senza tenere conto che il mondo è cambiato. Il fatto poi che molte aziende aretine si siano specializzate nel settore orafo non aiuta. Si tratta di un segmento di mercato saturo. Bisogna avere il coraggio di cambiare, di puntare ad altri commerci».«Le vie d’uscita ci sono, ma vanno trovate su una scala che sia quanto meno regionale – aggiunge Sichei della Cisl -. Devono essere assicurati innanzitutto degli ammortizzatori sociali per le numerose aziende di piccole e medie dimensioni che al momento ne sono prive, garantendo così fondi per chi rimane senza lavoro. Inoltre le famiglie sono sempre più in difficoltà. Molte non riescono ad arrivare alla terza settimana e sono assediate dai mutui per la casa che resta un bene primario. Per questo sarebbe utile proporre di dilazionare il pagamento delle rate». Perchè la crisi è arrivata anche nell’aretino e gli effetti si faranno sentire ancora a lungo. di Lorenzo Canali