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La corruzione è viva e l’onestà non si predica, va messa in pratica
Ciò che impressiona di più, nell’ennesimo scandalo che ha travolto Roma (il nuovo stadio giallorosso), è la preveggenza politica dell’imprenditore di turno. Il palazzinaro romano Luca Parnasi, molti mesi prima del voto, già si diceva certo della vittoria dei 5Stelle e della Lega.
Nessuno di noi, nemmeno i sondaggisti, si arrischiava a fare previsioni così nette. Il che la dice lunga sulla capacità di un certo mondo imprenditoriale italiano (e romano in particolare) di fiutare il vento della politica e di attrezzarsi alla bisogna. Perché se i tuoi affari dipendono dalla politica, allora sarà bene farsi trovare preparati. Il che vuol dire, in un contesto come quello romano abituato a fare i conti con il potere dominante, a scegliere i canali giusti per interloquire con i potenti di oggi e di domani.
E qui entra in campo Mister Wolf, Luca Lanzalone, l’astro nascente fra i grandi suggeritori di Casaleggio e dei 5Stelle. Il resto è storia nota: arresti, detenzioni domiciliari, fiumi di intercettazioni telefoniche, sbandate fra i due soci del contratto di governo, sconcerto degli elettori. Ma soprattutto una certezza: la corruzione è viva e lotta insieme a noi. Anche nella Terza Repubblica, quella del «cambiamento».
Ed è di questo che vogliamo parlare, prendendo se possibile le distanze dalla cronaca giudiziaria e da quella politica, che purtroppo erano e restano contigue. Correva l’anno 1955 e L’Espresso titolava così in prima pagina un’inchiesta di Manlio Cancogni: «Capitale corrotta = Nazione infetta». Cuore della denuncia: il dilagare della speculazione edilizia nella capitale. Sì, ancora e solo i grandi appetiti dei palazzinari romani, mai abbastanza soddisfatti. E il metodo? Sempre lo stesso. Blandire e comprare la politica per assecondare i propri progetti edilizi. Che a Roma vogliono dire grandi guadagni, influenze amministrative, potere di interdizione e capacità di indirizzare il voto popolare. Un mix esplosivo, collettore e moltiplicatore di corruzione.
Una domanda quindi si impone: tutto questo è solo materia per la magistratura? Impossibile arrendersi a questa prospettiva, perché dovremmo accettare che le nostre vite future debbano essere regolate solo dal pendolo della Giustizia, con tutti i suoi limiti. Del resto, chi a Roma, può dirsi immune dai rischi corruttivi, se persino Papa Francesco ha levato alta la sua voce contro il virus della corruzione insinuatosi nelle stanze vaticane? Ricordate il suo celebre «la corruzione spuzza»? Una presa di coscienza che non è (e non dev’essere) una resa senza condizione al «male assoluto» denunciato da Raffaele Cantone, presidente dell’Anac (Autorità nazionale anti corruzione). Piuttosto, la condivisa consapevolezza che l’Italia si trova dinanzi a una gigantesca questione educativa che qualcuno pensa di sanare attraverso parole d’ordine spesso urlate e segnate da una disarmante semplificazione. Basti pensare all’auto suggestione dei militanti 5Stelle con il loro grido «onestà onestà», ora alla prova delle tentazioni di governo e amministrazione. O all’ingenua convinzione dei leghisti (quelli di «Roma ladrona») di aver chiuso definitivamente con un passato fatto di investimenti in diamanti e di bilanci truccati. Per non parlare dei conflitti d’interesse di Berlusconi o degli avventurismi di Renzi.
Ma questa è la società politica. E tutti gli altri soggetti? Cosa ne è di quella società di mezzo che rappresenta la maggioranza del Paese? Tutti onesti predicatori dell’onestà? Tutti compresi della propria responsabilità nei confronti dei mondi che rappresentano? E che dire di chi ha impegni educativi? E delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti? Perché non ci si ritrovi già domani a rincorrere l’ennesimo episodio della infinita questione morale italiana, occorre una cesura netta che riporti l’onestà ad essere una virtù, non solo predicata ma esercitata. Meno enunciata nel discorso pubblico e più praticata nella vita quotidana. Dappertutto, a cominciare dalle agenzie educative. Famiglia e scuola innanzitutto. Perché non c’è nulla di più educativo dell’esempio. Si impara l’onestà solo stando accanto agli onesti.